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Parlare ai bambini di sordità infantile

Pubblicato il 2 Febbraio 2022 da • Ultima revisione: 3 Marzo 2022

In Italia si stima che la sordità infantile riguardi fino a 3 bambini ogni mille: questo dato importante ci dice che nella propria vita i nostri figli – e noi adulti – potremmo avere amici sordi o incontrare persone sorde sul lavoro, in famiglia, in amicizia. 

Per questo motivo – oltre che per cultura personale – possiamo e dobbiamo imparare a comunicare nel modo corretto, per superare le barriere di incomunicabilità che rendono difficile ogni tipo di relazione. 

Lo scopo, infatti, non è il pietismo, ma l’umanità: soltanto quando ci circondiamo di persone di ogni tipo, ogni abilità e ogni colore, possiamo davvero arricchirci sul piano culturale e sul piano della relazione. 

Come possiamo aiutare i nostri figli e figlie a gestire la relazione con un bimbo sordo in ambito scolastico?

Posto il fatto che la scuola sicuramente metterà già in atto delle strategie comunicative apposite, studiando un PDP congruo (piano didattico personalizzato) e, immaginiamo e speriamo, anche un percorso formativo ad hoc per insegnanti, compagni e compagne di classe e – magari – anche famiglie, vediamo cosa possiamo fare noi.

Come approcciarsi a un bambino o una bambina sordi?

In generale, ricordiamoci che le persone sorde non hanno bisogno del nostro pietismo: sono persone e basta, con i loro pregi e difetti. La cosa più importante da fare, infatti, è pensare alle persone che abbiamo di fronte nella loro interezza, senza etichettarle con il nome di una malattia o un disturbo o una condizione o una caratteristica. 

Quando parliamo a una persona sorda, bambina o adulta che sia, quindi, parliamo con lei: talvolta si tende a escludere le persone dal discorso, per rivolgersi direttamente ai loro genitori o insegnanti.

A me piacerebbe che qualcuno o qualcuna parlasse di me in mia presenza, senza interpellarmi? No. È decisamente sgradevole diventare oggetto e non soggetto della comunicazione

Cerchiamo dunque di capire qual è il canale comunicativo della persona che abbiamo di fronte: se conosce la LIS (lingua italiana dei segni), se preferisce la lettura labiale o il parlato

Nel caso in cui il bambino o la bambina conoscesse la lingua dei segni, sarebbe una bella occasione per l’intera classe chiedere l’avviamento di un progetto di bilinguismo: in questo modo non solo la comunicazione tra le parti sarebbe più semplice e inclusiva, ma anche culturalmente i bambini saprebbero parlare una lingua extra, che è sempre un vantaggio. 

Cerchiamo di mantenere sempre il contatto visivo quando comunichiamo: evitiamo di muoverci o spostarci da una parte all’altra, di girare il viso o perdere il contatto visivo. 

Se in classe dobbiamo indossare mascherine, facciamo in modo che siano trasparenti, in modo che non solo il labiale, ma anche le nostre espressioni siano visibili. 

Cerchiamo di parlare a una velocità normale, senza mangiarci le parole e senza accelerare: scandiamo bene le parole ma senza scendere nel patetico e soprattutto cerchiamo di pronunciare le parole nel modo corretto. 

Infine, cerchiamo di parlare in modo chiaro e semplice – cosa che dovremmo fare in generale nella vita. Possiamo comunicare meglio e più agevolmente, su tutti i fronti, quando usiamo frasi brevi, concise, precise. Questo è un regalo che ci facciamo indipendentemente da chi è il destinatario o destinataria della nostra comunicazione. 

Non da ultimo, cerchiamo di ridurre i rumori di fondo, in modo che bambini e bambine con eventuale impianto cocleare o protesi, possano concentrarsi sul suono della nostra voce, senza essere disturbati dalla caciara della classe. 

Un validissimo aiuto per spiegare la sordità ai bambini ci viene offerto dalla lettura di Io sono sordo, un libro di Manuela Marino Cerrato, illustrato da Annalisa Beghelli, edito Carthusia Edizioni.

Io sono sordo

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Come sappiamo, per averne già parlato in altri post, Carthusia è una casa editrice progettuale che si impegna da anni nella realizzazione di progetti editoriali di grande profondità e impatto sociale.

Io sono sordo, da questo punto di vista, non fa eccezione.

L’autrice, la dott.ssa Manuela Marino Cerrato, è vice presidente dell’Associazione Vedo Voci – Associazione Genitori Bambini Sordi Onlus, attiva dal 1995 a sostegno delle famiglie di bambini sordi. Nella mission dell’Associazione si legge:

Supportiamo, anche con l’esperienza quotidiana dall’interno delle nostre famiglie, la sperimentazione in atto nella scuola materna, elementare e media di Cossato che prevede l’integrazione di bambini sordi nella scuola statale e l’attuazione del bilinguismo (LIS Lingua dei Segni Italiana / Lingua Italiana).

Trattasi di una scuola statale, materna, elementare e media, dove è in atto una sperimentazione, autorizzata come tale dal Ministero della Pubblica Istruzione per la prima volta con Decreto 18 aprile 1996, che prevede l’integrazione di bambini sordi nella scuola “comune” (gruppi di più bambini sordi insieme ai bambini udenti) e l’attuazione del bilinguismo.

Il progetto considera le persone con sordità come una minoranza linguistica, con una propria lingua ed una propria cultura.
L’obiettivo primario che la scuola si propone è quello delle pari opportunità, per i bambini sordi e udenti, di apprendimento e di acquisizione di conoscenze, abilità, competenze in rapporto all’autonomia, alla socializzazione e all’evoluzione cognitiva e psicomotoria; tale obiettivo può essere perseguito solamente offrendo ai bambini con sordità un’informazione equivalente a quella offerta ai bambini udenti.

In quest’ottica, Io sono sordo è un libro strumentale ad affrontare coi bambini il tema della sordità, approcciandolo dal punto di vista pratico, per raccontare la relazione, l’emozione, ma anche l’importanza della comunità.

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Il concept del libro

Il libro in questione parte da un presupposto molto valido: i bambini sordi sono bambini che comunicano in modo diverso, ma sono bambini che comunicano.

Provano emozioni che talvolta sono complicate per via della difficoltà di relazione, ma provano emozioni come ogni altro bambino ed è giusto che a questo modo di comunicare venga dato lo spessore che merita.

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Io sono sordo ha il pregio di rivelare questo spessore, come fanno quei visori che palesano i sottili raggi della luce infrarossa, mettendo in evidenza il mondo interiore di un bambino sordo.

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La narrazione, rispetto ad altri testi di impostazione più tradizionale, ha il grande plus di calare chi legge direttamente nella condizione descritta, realizzando quella fusione empatica tra l’io narrante e il lettore che tanto conta nell’apprendimento tipico della lettura condivisa.

I bambini udenti possono, così, essere rassicurati sulla loro difficoltà ad avvicinare un bambino sordo:

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ma, allo stesso tempo, vengono magistralmente accompagnati a comprendere che per quel bambino può essere anche più difficile rendersi “avvicinabile” da loro, può essere frustrante e fonte di grande sofferenza:

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Sarebbe però un errore pensare che il libro sia solo un compendio delle sofferenze e difficoltà che derivano dall’essere sordi.

Il grande balzo in avanti, rispetto a tanti altri, Carthusia lo fa proprio qui: nell’aprire al lettore uno sguardo nuovo, sulla vita trascorsa nella sordità e sul modo in cui può essere positivamente vissuta.

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Abbiamo voluto che in questo post fossero le immagini, più delle parole, a raccontare questo splendido libro, per essere coerenti con il punto fondamentale della narrazione: le parole non sono sempre tutto.

A volte possiamo lasciarci guidare da altro per conoscere gli altri, guardandoli nella loro essenza di semplici esseri umani: l’amicizia non si ciba di parole, ma di sentimenti.

E i sentimenti non hanno niente a che fare con la capacità di ascoltare con le orecchie. Essi non si percepiscono che col cuore: dobbiamo imparare a sentire l’altro, a provare ciò che lui prova, le sue gioie, le sue difficoltà, ma anche e soprattutto scoprire una voce diversa dalla nostra, che ci insegna a pensare in modo differente e libero.

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Io sono sordo è un albo illustrato ad alta leggibilità per insegnare ai bambini a non avere paura della sordità, propria e altrui.

È il terzo titolo della collana Carthusia “Trovati e Ritrovati“, una serie di volumi illustrati che raccoglie storie antiche di autori fuori catalogo.

Ecco, è di questo che parla questa storia: di conoscenza.

Tutte e tutti noi dovremmo insegnare ai nostri bambini a costruire relazioni che abbattano le barriere: questo è l’unico strumento reale per liberarci dalla paura e costruire inclusione.

Dai 6 anni.

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Conclusioni

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