La felicità si può apprendere

Pubblicato il 2 Dicembre 2019 da

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La felicità si può apprendere: l’ho sempre sostenuto. Questa è una delle prime frasi che ho scritto nel mio Manuale della Felicità e ancora oggi, a distanza di anni, continuo a crederlo. Anzi. Oggi ci credo più che mai.

Sono stata tanto infelice, da giovane. Così infelice che l’infelicità era diventata insopportabile. Così insopportabile da farmi odiare la vita.
Poi, in qualche modo, ho imparato a sopravvivere. E dalla sopravvivenza è arrivata la felicità. 

Sto andando dalla psicologa, da un paio di mesi. Quello che sto facendo è scardinarmi così come si scardina dal suo asse una porta molto solida.
E non penso sia un caso: ho scelto di andare dalla psicologa quando stavo ‘bene’, non quando stavo male.
Ho scelto di andarci perché avevo dei problemi da risolvere (tra cui l’obesità e una sorta di burn out che sto vivendo a causa del volontariato), ma dicendomi: Stavolta non voglio risolvermi tutto da sola. Stavolta mi merito un aiuto. 

Come potete immaginare, i problemi che sto scoprendo vanno ben oltre quelli che avevo immaginato di dover risolvere. Sono chiaramente più profondi e più dolorosi e richiederanno tanto tempo per essere non solo risolti, ma anche trovati dentro di me. Perché ciò che più di malvagio mi è successo è sepolto nel mio io più profondo, e non si è ancora liberato.

Io ho imparato ad essere felice, profondamente. 

La cosa pazza di questa mia presa di coscienza è proprio questa: che io ho imparato ad essere felice e la felicità è stata il mio modo di sopravvivere a tutto. Spesso quando sono stanca e qualcuno mi chiede come sto, rispondo che io sono come ‘Ercolino sempre in piedi’, quel pupazzetto con il fondo ovoidale che potevi prendere a schiaffi, per sbilanciarlo, ma tornava sempre dritto. Credo non ci sia imagine più fedele di questa che mi possa rappresentare, anche senza che io ne fossi davvero consapevole: più sono stati duri gli schiaffi che ho preso, più il mio rimbalzo è stato forte.

Vorrei darvi davvero un Manuale con le istruzioni per essere felici, ed è quello che tento di fare qui sopra da 11 anni.
Ma mi rendo conto che non esistono istruzioni universali. Non esiste una lista di cose giuste da fare per essere felici.
Ma la consapevolezza può fare molto.

La mia strategia è stata quella di sopravvivere. 
Quando mi volevo ammazzare, non mi sono ammazzata. E mi sono detta: Beh, posso sempre ammazzarmi domani, nessuno me lo impedisce. 
E così sono uscita dalla mia zona di confort (sì, il mio dolore era il mio conforto, la mia unica certezza) e ho iniziato a ‘fare cose’. Ho iniziato a conoscere gente, a scrivere sui forum e poi sul mio blog di splinder, a fare volontariato.
E ogni giorno tornavo a casa sfinita, dicendomi: Beh, posso sempre ammazzarmi domani, non ho nulla da perdere. 
Perché davvero non avevo nulla da perdere.
E ho continuato così, giorno dopo giorno per anni, a dire a me stessa che mi sarei concessa un altro giorno di vita, che tanto potevo ammazzarmi il giorno dopo… e poi non mi sono più ammazzata. 

Ho trovato la mia strategia.
Che non è una guarigione, eh, attenzione.
È stata una strategia di sopravvivenza che ha funzionato benissimo. 

Mi sono aperta alla vita e alle persone, senza più paura che mi facessero del male, e ho scoperto che quando metti il cuore in mano agli altri, per uno che te lo sfracella, gli altri nove lo sanno trattare con estrema cura.
Ho scoperto che quando ti concedi di vivere e di conoscere le persone e di fare nuove esperienze, alla fine qualcosa di bello succede sempre. E ti puoi aggrappare a quella bellezza come se fosse un pallone aerostatico, per portarti via da tutto lo schifo.
Ho scoperto che quando fai volontariato, è vero che fa bene a te, più che a coloro che ‘aiuti’.
Ho scoperto che quando ti dai da fare, capisci che servi a qualcosa, che puoi essere utile, che non sei in rifiuto.

Ho provato la felicità, purissima e profondissima.

E ancora oggi io sono felice per ogni minuto che mi sono concessa di vivere, per ogni giornata che sono stata al mondo, per ogni persona che ho incontrato. Sono felice di ciò che ho fatto nella mia vita, di ciò che ho scelto. Felice di aver provato sufficiente ribrezzo per la violenza, per aver scelto accanto a me un uomo buono e per non essere diventata violenta con mia figlia. Sono felice di poter dire a me stessa che quella catena di violenza che si tramandava nelle mie famiglie da generazioni, è morta con me. Quella sì, l’ho uccisa.

Non sono guarita, ma ho imparato ad essere felice lo stesso.
Il mio processo di guarigione sarà lungo e – chissà – magari nemmeno definitivo.
Ma nel frattempo che guarisco, oggi come allora, io mi dico: Beh, posso sempre essere felice oggi. Il mio dolore non me lo impedisce. 
E allora cerco di guarirmi, ma allo stesso tempo cerco di godermi tutti i momenti belli delle mie giornate, circondandomi di persone che amo e che mi amano e cercando di fare il bene.

Ho imparato che la felicità non è perfetta. Proprio come la vita. 
È stata questa la lunga lezione che la felicità mi ha impartito. Se io continuo a pretenderla e cercarla, resto viva. E posso essere felice anche nella mia disperazione. E, anzi, la felicità può essere proprio l’ossigeno che mi aiuta a sopportare la disperazione.

E no, se tornassi indietro non rifarei le cose allo stesso modo. Se tornassi indietro andrei dalla psicologa esattamente 20 anni prima, chiedendo a me stessa abbastanza da chiedere aiuto. Perché sono sopravvissuta, ma non sono guarita. Perché avrei potuto risparmiarmi tanto dolore, se mi fossi presa la responsabilità di me stessa tanto tempo prima.

Del resto, ognuno deve essere pronto a suo modo, per fare terapia.
Io, proprio perché mi è difficile credere di non essere felice, sono stata pronta quando mi sentivo forte.
Quando pensavo che il mio problema fosse un altro, più superficiale.

E la scusa dei soldi non regge proprio, perché lo so già che state pensando ai soldi, e al fatto che tirare fuori 200-300 euro al mese per andare dallo psicologo non è fattibile nella vostra vita. Oh, quante volte me lo sono raccontato! Ma non era vero: quei soldi avrei potuto trovarli tranquillamente. Potevo smettere di comprare cose inutili, cibo in eccesso, quel quarto o quinto paio di jeans in più, quel sesto paio di scarpe, quel giubbotto nuovo, quel rossetto.
Quanti soldi ho buttato via per premiarmi e gratificarmi, invece che per curarmi.
E va bene così: quel rossetto mi ha fatto sentire più forte quando ne avevo bisogno per sopravvivere. Adesso lo so, e so anche che quella sopravvivenza è stata funzionale ad arrivare viva fino qui.

Voglio dirvi, dunque: sopravvivete. 
Trovate la strategia giusta per sopravvivere, finché sarete pronti ad andare da uno psicologo e ad affrontare davvero le cause profonde del vostro dolore. Non sentitevi in colpa se non avete ancora preso questa decisione, ma non temporeggiate troppo a lungo: prenotate oggi un primo colloquio, di getto, senza pensarci troppo.

Prima iniziate, prima vi potete togliere di dosso questa zavorra.

Sopravvivete, non gettate la spugna, smettetela di dirvi che per voi la vita è solo sfigata e che la felicità è impossibile.
Come me, potete sempre gettare la spugna domani. Ma oggi, proprio oggi, restate vivi. Tutti i giorni che potete.
Finché dalla bocca vi uscirà quell’unica parola davvero importante da pronunciare nella vita: Aiuto!



Commenti

4 Commenti per “La felicità si può apprendere”
  1. Lisa

    Ho copiato tutto il post. Perché sono sicura che mi aiuterà, quando sarà il momento.
    Grazie Barbara.

  2. Valentina

    E’ proprio vero, si va dallo psicologo quando si sta bene, per guarire dalle ferite più profonde, quelle che teniamo nascoste ma che se aperte, bruciano più di tutte. All’ultima visita dallo psichiatra (che mi ha dato una cura da cavallo) chiesi se fosse il caso abbinare un cammino anche dallo psicologo, premettendo che non ne avevo voglia, che mi sarebbe pesato. Lui ha fatto l’esempio della gamba rotta: prima si mette il gesso, poi si fanno le terapie di riabilitazione. Io sono nella fase ancora prima, dell’operazione, perchè “la gamba” me la sono proprio spaccata. Sono contenta però che ho avuto il coraggio di rimettermi a studiare, di tentare un’altra strada, di nuovo, a 43 anni. Non so se mi porterà da qualche parte ma ci sto provando, non mi sono arresa (grazie anche ai medicinali). Dovrò però imparare a tutelarmi al posto di chi non lo ha mai fatto e avrebbe dovuto. Mi merito molto più di quello che ho avuto fino ad oggi, nell’amore, nelle amicizie e nel lavoro. Devo imparare a pretenderlo e a prenderlo.

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