La felicità è normale

Pubblicato il 22 Ottobre 2018 da

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L’altra sera un’amica che ha appena avuto un bimbo, mi ha detto: Alla fine sei l’unica che mi ha detto le cose giuste. Tutti mi dicevano che con un figlio la mia vita non sarebbe più stata la stessa, che non sarei più uscita, che non ci sarebbe più stato tempo per me. Invece tu mi dicevi che no, che con i figli è anche divertente, che si sta bene, che è tutto normale.

Tutto normale. Perché la ‘normalità’, pur nelle nostre infinite sfumature, va bene.

Possiamo anche dire basta alla lotta intestina tra le mamme imperfette, con le loro storie tragicomiche che non fanno ridere; e le mamme votate alla maternità, con la loro pesantezza greve – insopportabile anche per i figli stessi.

Le mamme imperfette, quelle che dimenticano i figli a scuola e lo raccontano sui social – fa ridere tantissimo? (tranne me, evidentemente).
Quelle che si ‘vantano’ di dimenticare di comprare i materiai di scuola, o che preparano toast sbruciacchiati tutte le sere, o che escono con il pigiama sotto al cappotto per portare i figli a scuola (ma con la piega fatta).

Le mamme votate alla maternità, quelle che preparano i pancake con la farina d’avena integrale e non mandano i figli all’asilo, perché hanno scelto di non lavorare per occuparsi di loro personalmente, per crescerli meglio di quanto saprebbero fare gli altri.

In generale, mi pare che le mamme si dipingano con molto più cinismo e distacco di quello che provano veramente. O che, all’estremo opposto, entrino in modalità “mamma onnipotente” – quella sempre bella, attiva, che lavora, che va a pilates, che s’abbona a teatro, che ha tempo per la famiglia ma anche per farsi i fattacci suoi e che ha sfornato solo bambini prodigio.
Narrazioni materne, Tegamini

Tra le giovani mamme, quelle che leggo sui gruppi FB legate alla pedagogia, trovo ci sia una generale incapacità a essere normali. A prendere i figli per quello che sono – persone con una propria identità – e a prendere anche se stessi per ciò che si è: esseri umani con talenti e limiti, con la voglia di fare bene e anche il desiderio di stare bene, senza strafare, senza ammazzarsi inutilmente per raggiungere un modello di perfezione inesistente.

Trovo ci sia un’eccessivo interrogarsi sulla maternità, come se essere mamma non fosse sufficiente, ma occorresse trasformarsi in una meta-mamma pirandelliana, che guarda se stessa dall’esterno giudicandosi. Le donne si giudicano troppo. 

Donne che si avvelenano il fegato per i sensi di colpa: per non essere mai abbastanza, per non essersi abbastanza risolte, per non aver accolto abbastanza, per non capire abbastanza.

C’è una cosa che mi manda fuori di testa di questa fissazione: per ogni problema, chiedono quale libro possono leggere.
– Mi consigliate un libro per gestire i capricci?
– Mi consigliate un libro per parlare di sesso ai miei bambini?
– Mi consigliate un libro per insegnare a fare la cacca nel vasino?

Mi sono sempre chiesta se non basta prendere un vasino, appoggiarci sopra il figlio con il sedere all’aria e dirgli: adesso che sei grande, la cacca la fai qui dentro. Anzi, falla nel water, così facciamo prima.

Non ho nulla contro i libri di pedagogia, anzi! Amo i libri della Montessori, di pellai, di tantissimi altri autori… ma non li uso come schema per risolvere un problema di relazione con mia figlia: li leggo per imparare, per evolvermi come madre, per cambiare come persone. Non per gestire un rapporto.

Ogni bambino leggermente fuori schema, è un senso di colpa: il bambino che non dorme, che non mangia, che fa i capricci, che morde gli altri bambini all’asilo. È un bambino fuori schema che ha bisogno di essere analizzato, che ha bisogno di un’interpretazione. E giù discussioni psicologiche sui perché reconditi che spingono un bambino a mordere, sulla vergogna, sulle colpe, sul misurare la propria bravura di madre attraverso le performance dei figli. Come se i figli non potessero semplicemente, certi giorni, svegliarsi con le balle girate, o provare sentimenti negativi.

La necessità che i figli siano sempre felici, che siano meglio di noi, che imparino dai nostri errori senza aver ancora commesso errori, che abbiano una vita migliore della nostra perché noi sappiamo cosa significa. Senza accorgerci che noi giudichiamo il nostro passato in relazione a noi stessi, e loro dovrebbero misurare la vita in base a ciò che è realmente, non in base a qualcosa che abbiamo provato noi per loro.

È tutto tragico.

Tutto diventa difficile, pesante, degno di essere raccontato come uno sforzo titanico: essere madre è un’impresa che ‘stravolge’, in un senso o nell’altro.
Tutto deve essere analizzato, tutto deve essere postato per chiedere consiglio, per capire se stiamo facendo bene o male.

Ma secondo me: è molto più ‘normale’ di così!

Si può tornare a credere alla maternità come a una cosa normale. Una tappa della nostra vita (per chi vuole), che milioni di altre donne hanno affrontato prima – senza offenderci quando qualcuno ci fa osservare che: milioni di donne l’hanno fatto prima.

Si può provare a non ingigantire la maternità come se fosse il punto in cui abbiamo infilato il compasso per creare il cerchio che ci ruota intorno.

Sono andata a rileggermi alcune cose che ho scritto in questi due anni sul tema della maternità. E lo ripeto anch’io, immancabilmente: un mio grande obiettivo, tra i tanti, è quello di rimanere NORMALE.
Che volevo dire? Forse che è importante non dimenticare come eravamo prima. Che possiamo far lievitare la nostra identità per creare dello spazio nuovo che la maternità possa occupare senza sovrascrivere tutto quello che c’era già. O che, per qualsiasi cosa, vogliamo poter continuare a contare sulla rete di fiducia e di rapporti sociali che coltivavamo da nullipare.
Sono ambizioni legittime, mi pare.
Narrazioni materne, Tegamini

Per me essere madre è stato piuttosto normale. Mi ci sono trovata bene, mi calza a pennello, non mi sento particolarmente illuminata come madre, perché il mio scopo è accrescermi come persona, non in quanto madre.
Ho continuato a lavorare, ho raccontato la mia vita, ho raccontato i miei sentimenti, ho scritto milioni di parole su come io sono cresciuta attraverso la relazione con mia figlia, ho dispensato consigli dicendovi di fare – alla fine – ciò che vi era più congeniale fare.
Ovvio, sono stata fortunata ad avere una figlia sana e a non essere malata di depressione post partum: questa è tutta un’altra faccenda che non sto trattando in questo post.

L’ho presa bene, dai. Non essendo io una sprovveduta totale, una volta compreso il concetto che amavo mia figlia e che volevo il suo bene, mi è bastato essere normale. Certo, prima di diventare madre ero diventata adulta: mi sono impegnata per guarire, per essere una persona migliore, per risolvere i miei casini mentali e non fare la pazza.

Vorrei solo che fossimo più capaci di essere felici e basta. Senza tante giustificazioni, senza starci troppo a pensare: la felicità è un sentimento semplice, non ha bisogno di interrogazioni. La felicità è ignorante: succede senza tanti giri di parole, senza spremersi le meningi, senza necessità di perfezionarsi.

La felicità è normale. Non è niente di speciale, inarrivabile. Non è qualcosa che dobbiamo conquistare come se dovessimo scalare i livelli di un videogioco in cui abbiamo pochi punti vita. Non è la dimostrazione che stiamo facendo tutto bene – e allora relax, possiamo essere felici perché siamo anche bravi.

Mi sono interrogata milioni di volte su me stessa, sulla persona che voglio diventare, su come voglio vivere la mia vita per non essere stata inutile del tutto in questo mondo. E uno dei segni che voglio lasciare nel mondo è la capacità di fare cose normali, cose semplici – stare bene senza particolari meriti, senza particolari motivi. Stare bene pure quando sto male, perché se mi alzo viva, mi sembra già di aver fatto metà del lavoro.

Prendiamoci meno sul serio. Liberiamoci.
Facciamo come ci piace. Facciamolo bene, e andiamo in pace.

Per essere felici non serve essere speciali. Per essere felici non serve far parte di uno o dell’altro schieramento: si può essere semplicemente se stessi, senza farsi giudicare, né auto-giudicarsi.

Godetevi i figli, spupazzateveli, baciateli, incazzatevi quando serve, comprendetevi, ma fatela facile: possiamo essere più semplici di così, perché la vita è semplice: la vita è talmente un casino, che la semplicità è l’unica chiave che ci permette di godercela, senza diventare folli.



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