Perché alcuni genitori continuano a sminuire i figli, anche da adulti?

Pubblicato il 28 Dicembre 2021 da • Ultima revisione: 28 Dicembre 2021

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Mai come in queste vacanze di Natale, ho visto e letto, da amiche e conoscenti, l’insoddisfazione per dover passare le feste di Natale con la propria famiglia (disfunzionale). E non parlo di ragazzini o di persone troppo giovani, ma persone che hanno 25, 30, 40 anni – e anche di più – che in questi ultimi due anni hanno preso coscienza di sé, e delle proprie esigenze di felicità, e per cui, dunque, questa insofferenza si fa ancora più marcata.

Parlo di donne e uomini adulti che hanno quasi il terrore di passare le feste con i genitori, e che devono comunque prepararsi psicologicamente al peggio: al giudizio senza pietà di queste famiglie che sembrano avere come scopo ultimo, quello di buttare giù i figli e minarne l’autostima.

In generale, le generazioni come la mia sono cresciute in famiglie in cui non si sapeva nulla di pedagogia e – tanto per generalizzare e riassumere – i bambini sono visti come manipolatori, capricciosi e viziati e bisogna piegarli, punirli e soprattutto stremarli con il pianto. È noto il libro sulla nanna di Estiville, in cui si consiglia ai genitori di lasciar piangere i bambini nella loro stanza, finché non si addormentano. E grazie. SI ARRENDONO.

Molti di noi negli anni si sono davvero arresi. Abbiamo fatto terapia, ci siamo costruiti la nostra vita lontani dalla famiglia, cerchiamo di mantenere rapporti diplomatici e visite occasionali, ma poi – quando arrivano le feste COMANDATE – si torna nel precipizio.

Feste comandate: se ci facciamo caso, questa espressione dice tutto. Sono un comando, un obbligo morale. E (sarà un caso?) questo è un precetto religioso.

Sta di fatto che vedo tante amiche e amici che, in questi giorni, parlano di salute mentale e vedo tanti psicologi dispensare utili consigli su come sopravvivere psicologicamente alle feste, e allora mi chiedo: perché ci sentiamo obbligati a onorare questo tipo di impegno?

Onora il padre e la madre

Recentemente ho letto un gran bel libro di Alice Miller: La rivolta del corpo, i danni di un’educazione violenta, che mi ha fatta molto pensare.

Alice Miller sostiene che uno dei problemi dell’educazione dei bambini sia, innanzitutto, che la violenza sui bambini è considerata normale, socialmente accettabile. Del resto, basta guardarsi intorno: se per strada vedessimo un uomo schiaffeggiare una donna, chiameremmo la polizia. Se vediamo un genitore schiaffeggiare un bambino, lo riteniamo educativo (non io, precisiamo).

In secondo luogo, uno dei problemi che Miller identifica con la cosiddetta pedagogia nera è proprio il quarto comandamento: chi è cresciuto con certi precetti, tenderà a non metterli mai in discussione, anche e soprattutto quando gli creano dolore.

‘Onorare il padre e la madre’ a prescindere: è semplicemente sbagliato.
I genitori sbagliano – più o meno gravemente. E se un genitore sbaglia in modo GRAVE, sentirci obbligati a onorarlo e rispettarlo, a prescindere da tutto, non fa altro che distruggere la nostra autostima.

Da una parte, se non mettiamo in discussione un genitore violento, la nostra autostima ne risente, perché allora si manifesterà la cosiddetta ‘dissonanza cognitiva’, ovvero tenteremo di giustificare il comportamento violento con tutt3 noi stess3, perché altrimenti sarebbe intollerabile ammettere la verità. E quindi tenderemo a giustificare quella violenza con il fatto che noi non eravamo bambine e bambini abbastanza bravi, ovvero CHE CE LO SIAMO MERITATO, QUEL TRATTAMENTO VIOLENTO.

Dall’altra parte, non farà che aumentare il nostro senso di colpa, perché il nostro inconscio tenderà a odiare quei genitori, e soprattutto la nostra storia di bambini, ma allo stesso tempo il dovere di onorare il padre e la madre sarà così forte, da farci sentire colpevoli: mi sento in colpa perché non li amo abbastanza, perché non sono una brava figlia, perché NON SONO MAI STATA ABBASTANZA.

Cosa intendo per educazione violenta?

Molte persone che in questo momento leggono questo post, hanno sicuramente pensato: non parla di me!
Per molte persone, infatti, è molto difficile ammettere che la violenza è violenza e basta, e che non esistono gradi accettabili di violenza.

La violenza contro i figli è fatta non solo da percosse fisicamente violente e danni fisici, ma è fatta da infinite gocce di male:

  • insultare i figli: sei scemo, cretino!
  • picchiarli ‘piano’: picchiare piano non è forse comunque picchiare? forse se non lasciamo il segno, allora la violenza è come l’inchiostro invisibile?
  • sminuire i bambini costantemente: non sei capace, imbecille, lascia stare, sei piccolo
  • togliere loro il diritto di esprimere sentimenti: stai zitto! se piangi, ti do il resto! non urlare!
  • togliere loro il diritto di comunicare: non voglio sentir volare una mosca! ma cosa ne sai tu? ma stai zitta, che sei una pulce
  • minare la loro autostima: sei stupida, sei brutta, sei grassa
  • instillare nei bambini il pericolo di non essere amati: nessuno ti vorrà se non cambi atteggiamento, se non dimagrisci, se non studi

E, ciò che è peggio: tutto questo di norma viene fatto dicendoci che è PER IL NOSTRO BENE.

esempio di famiglia nera felice che non cede alla pedagogia nera

Dobbiamo quindi odiare i nostri genitori?

No, a un certo punto possiamo persino amarli e perdonarli – se lo desideriamo.
Tendenzialmente dopo aver fatto terapia psicologica, che continuo a ritenere fondamentale.

La cosa importante è che dobbiamo necessariamente fare i conti con la nostra infanzia ed esaminarla come una prova di laboratorio: prendere coscienza della realtà e quindi prenderne possesso.
Passare da vittime, a persone consapevoli.

Solo in questo modo potremo recuperare la nostra pace, la nostra autostima, e anche una pedagogia vera e gentile, se vorremo avere figli e interrompere la catena del male.

Mettere in discussione il quarto comandamento non significa che dobbiamo odiare i nostri genitori. Significa che l’amore e il rispetto non sono dovuti per comandamento, ma per causa ed effetto.

Non siamo obbligate e obbligati ad amare chi ci fa del male.
E allo stesso tempo possiamo provare lo stesso compassione e affetto per questi genitori, senza però sentirci obbligati a rispettarne le idee e i modi violenti.

Cambia tutto!

Vi consiglio di leggere questi libri di Alice Miller, sull’argomento della pedagogia nera e sul maltrattamento dei bambini, qui nei miei link di affiliazione:

Perché certi genitori mortificano i figli?

ragazza lievemente grassa che fa il dito medio al patriarcato

Mi viene da dire che nella maggioranza dei casi, questi genitori (e nonni) educano i figli come sanno, come loro stessi sono stati educati. Di certo, prima delle nostre generazioni, non c’è mai stata molta attenzione per la pedagogia, né per la salute mentale.

Dicevo più sopra che tutto questo di norma viene fatto dicendoci che è PER IL NOSTRO BENE.

Ti insulto, ti picchio, ti annullo, ma lo faccio per il tuo bene.
Ti piego e ti spezzo, ma lo faccio per il tuo bene.

Il bene in che senso? Nel senso che il ‘bene’ in questione è, molto banalmente e crudamente, il POTERE.

Quando si educa un figlio all’obbedienza totale, alla mortificazione, alla soggezione, si ottiene il potere sulla sua vita. In questo modo quel bambino crescerà debole e, anche da adulto, sarà facilmente controllabile.

Il senso di controllo è un vantaggio per chi controlla: in questo modo anche da anziane queste persone si assicurano, molto banalmente, la cura, la fedeltà, il rispetto. Perché controllano i figli con il proprio potere, infarcito di sensi di colpa.

Di certo non lo fanno coscientemente (anche se in alcune situazioni io del sadismo fine a se stesso lo rilevo).

Ma possono mantenere potere su molti fronti: controllando la nostra vita, imponendoci i propri ritmi e stili di vita, il proprio pensiero.

Mi vengono in mente centinaia di esempi, visti sia da amiche e conoscenti, che vissuti sulla mia pelle con mia nonna (che faceva questo tipo di violenza a mia madre):

  • se non fai quello che ti dico io muoio e sarà colpa tua, tu mi avrai uccisa
  • mi devi portare al mercato esattamente all’ora che voglio io, non quando fa comodo a te
  • non devi dire niente a nessuno se tuo marito ti maltratta o maltratta le tue figlie, altrimenti mi fai fare brutta figura
  • quando mi porti in giro fai finta di non conoscermi, perché mi vergogno ad uscire con una persona grassa / brutta / non vestita come dico io
  • se non ceniamo a una certa ora io mi arrangio, mangio da sola e ti tengo il muso

Fateci caso: spesso queste persone usano abitualmente il ricatto, che è – per figli e nipoti – un pericolo paventato ‘di morte’: mi farai ammalare, mi ucciderai, mi sentirò male.

E la maggior parte delle volte questo ricatto viene messo in campo per motivi futili, perché andare al mercato alle 9 invece che alle 9.30, o cenare alle 19 invece che alle 20, sono sciocchezze: ma sono sciocchezze che servono a mantenere potere e controllo sulle persone, a stimolare la loro ansia e generare un perpetuo clima di tensione, se non di terrore.

E, come dicevo, questo non significa che dobbiamo odiare tutte e tutti, abbandonarli, tagliare i ponti (con certe persone ne vale la pena, però: prendetelo in considerazione).

Ma possiamo innanzitutto proteggere la nostra mente.
Se facciamo terapia e impariamo ad accendere la nostra consapevolezza su questi temi, non saremo facilmente manipolabili, perché riconosceremo questi meccanismi malati.

E allora possiamo anche decidere di cenare all’ora richiesta, ma lo faremo non con quel senso di colpa e quella tensione a cui siamo abituate e abituati, ma con la consapevolezza che quella manipolazione non può più attecchire su di noi, perché adesso la conosciamo e sappiamo come reagire di fronte ad essa.

Ed è lì che nasce la compassione per queste persone, e a volte anche ‘la tenerezza‘ per quell’infanzia che è stata negata anche a loro e per il fatto che loro, a differenza nostra, non ne saranno mai consapevoli.

LEGGI: Pedagogia Nera: quella catena invisibile che dobbiamo spezzare

Il patriarcato: dobbiamo iniziare a farci caso

Non sconvolgetevi: non sono diventata completamente pazza. Anzi: mai come oggi la mia mente è in grado di funzionare, proprio grazie alla terapia.

Il patriarcato, in antropologia, è un sistema sociale nel quale il potere, l’autorità e i beni materiali sono concentrati nelle mani dell’uomo più anziano dei vari gruppi di discendenza e la loro trasmissione avviene per via maschile, generalmente a vantaggio del primogenito maschio (organizzazione patrilineare).

Quando parlo di patriarcato, intendo – come dice Alice Miller – un complesso sistema di Chiesa, Patria, Famiglia: tutto ciò che deve garantire la governabilità di uno Stato e deve quindi rendere i cittadini poco inclini alla libertà e alla auto determinazione. Ciò che permette il CONTROLLO sulle persone.

Il patriarcato, infatti, non è un sistema che danneggia solo le donne, che in larga misura ne fanno le spese, ma è un sistema che danneggia anche gli uomini. Il maschilismo, infatti, è un danno sia per le donne (evidente), che per gli uomini stessi. Gli stereotipi di genere (non fare la femminuccia! non piangere! sii uomo!), danneggiano gli uomini nella misura in cui impongono loro di reprimere le proprie emozioni.

L’uguaglianza di genere serve a tutte e tutti, perché il sessismo e il maschilismo pervadono la società indipendentemente dal genere.

Allora io vi propongo: fateci caso.

Ogni volta che un politico ci mette gli uni contro gli altri (immigrati contro regolari, vaccinati contro no vax…).
Ogni volta che una pubblicità ci dice che se non siamo abbastanza belle o magre, dobbiamo correre ai ripari.
Ogni volta che un capo o una capa terrorizzano l’ufficio, mettendo le persone in competizione tra loro.
Ogni volta che i genitori e i nonni ci fanno sentire in colpa e ci fanno stare male.

Ogni volta chiediamoci: chi trae giovamento dalla mia fragilità?
Chi ottiene potere dalla mia mancanza di autostima?

Proviamo, un passo alla volta, a rispondere in modo consapevole a queste domande: questo farà di noi adulti migliori, e – di conseguenza – educatori migliori.

Perché non avremo più bisogno di sminuire i figli, i nipoti e le nuove generazioni, per sentirci degni e degne di amore, stima e rispetto.



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