Bimbi che parlano poco: quando preoccuparsi?

Pubblicato il 23 Gennaio 2018 da

bambini-che-parlano-poco-ritardo-linguaggio

Eleonora La Monaca, conosciuta in Rete come Mammalogopedista, oggi ci parla di bambini che parlano poco e di come individuare un ritardo del linguaggio. Un tema che mi è molto caro perché anche nostra figlia ha parlato molto dopo i suoi coetanei e questo – inutile nasconderlo – ai tempi ci ha creato non poche preoccupazioni, soprattutto quando scatta l’inevitabile confronto con gli altri bambini e ci si sente ‘in difetto’, o ancora peggio in colpa per qualcosa che potremmo aver fatto o non-fatto. 

Dice Eleonora, infatti:

La prima cosa che vorrei dire dopo tanti anni di esperienza con i bimbi, ma soprattutto con le famiglie, è che nulla può impedire ad un genitore di preoccuparsi.

Quando vengo contattata perché un bambino parla poco (o male) in genere la mamma e il papà sono già allarmati e confusi perché ciò che la maggior parte delle persone consiglia loro è “di non preoccuparsi che tanto prima o poi parlerà”; questo non li tranquillizza affatto.

Il consiglio di attendere fiduciosi è in genere basato sul fatto che il bimbo si mostra intelligente e adeguato su tutti i piani, tranne quello linguistico. Guarda caso questa è proprio la condizione dei bambini che hanno difficoltà linguistiche diciamo specifiche, cioè che non sono secondarie ad altre problematiche (come sindromi, ritardi mentali o altro), diciamo quindi che sono bambini “normali”.

Tuttavia moltissimi bambini tra i 12 e i 36 mesi hanno un linguaggio molto immaturo o non parlano. Gli studi scientifici ci dicono che circa il 10% dei bambini italiani si trova in una condizione di parlatore tardivo, cioè con un vocabolario inferiore a 50 parole a 24 mesi, oppure bambini che dicono più di 50 parole, ma non le combinano tra loro.

Quindi niente pensieri fino ai 24 mesi? NI

Quando incontro una famiglia con un bimbo così piccolo, sono molto interessata a tutto ciò che è successo prima di quel momento e spesso, diciamo quasi sempre, ci sono stati dei chiari segnali anche nel corso primi mesi di vita:

  •  lallazione scarsa o assente entro i 12 mesi;
  • ritardo nelle prime parole, cioè oltre i 16 mesi;
  • vocabolario molto basso a 18 mesi (meno di 30 parole);
  • a 24 mesi meno di 50 parole o assenza di combinatoria (due parole insieme).

Molti bambini di 24 mesi dicono meno di 50 parole – infatti a questa età esiste la maggiore variabilità linguistica tra bambini nella norma: si passa dal bambino che usa circa 50-60 parole a quello che produce già delle frasi complete.

Questo indicatore delle 50 parole dovrebbe essere un segno di “allerta”, ma non è detto che ci sia necessariamente un disturbo specifico di linguaggio (DSL).

Alcuni bambini normalizzano il linguaggio senza bisogno di interventi specifici: si chiamano in gergo Late Bloomers, cioè che sbocciano in ritardo. Ma è sempre consigliato tenerli monitorati con controlli periodici presso un logopedista, perché abbiamo dei chiari riferimenti clinici che ci consentono di capire come si sta sviluppando il linguaggio.

Ma veniamo ad un esempio pratico; ecco la tipica domanda che i genitori mi pongono quando mi contattano:

Mi chiedo se esiste davvero un’età in cui è “normale” che i bambini comincino a parlare.
La mia bimba a 1 anno diceva già tante paroline, il fratello no e in effetti per fare le sue richieste piange. Tutti dicono che è piagnucolone. Io credo solo che in un modo o nell’altro debba esprimersi e al momento sa fare quello. Dice poche parole e non capisco neppure se quando le dice le associa davvero all’oggetto in questione oppure no.
Esiste un momento in cui è necessario attivarsi? Un anno forse è poco.

La risposta è: Sì, esistono in clinica dei parametri ben precisi. I parametri sono:

  1. assenza di lallazione entro l’anno;
  2. assenza di parole entro i 16 mesi;
  3. meno di 50 parole a 24 mesi.

Tutto questo se il bambino capisce bene il linguaggio e sente bene. Se sembra non sentire e/o non capire, allora è necessario muoversi subito. Questi parametri sono dei riferimenti necessari, ma conoscendo il bambino si aggiungeranno moltissime altre variabili che possono essere prese in considerazione per capire meglio se e cosa è necessario fare.

Cosa si intende per parole?

Cosa si intende per parole? Le parole del bambino piccolo non sono necessariamente pronunciate correttamente, ma il bambino le utilizza in modo stabile per indicare sempre uno stesso concetto; ad esempio se il bambino dice “tatto” per dire tavolo ed utilizza sempre questa forma, allora si considera una parola.

Si considerano parole anche tutti i suoni onomatopeici che il bambino produce, come i versi degli animali o i rumori delle cose.

Spesso i genitori si stupiscono e sgranano gli occhi di fronte alla soglia delle 50 parole, dicendomi che assolutamente il loro bambino ne produce forse sì e no 10-20. In realtà, verificando insieme il vocabolario del figlio, si raggiunge tranquillamente il traguardo e spesso si va decisamente oltre. L’atteggiamento dei genitori, infatti, è spesso di tipo sotto-valutativo.

Cosa può fare allora un genitore per non preoccuparsi inutilmente?

Informarsi su come dovrebbe essere lo sviluppo del bambino piccolo, o in modo autonomo, o con uno specialista del settore. Il logopedista, infatti, tanto conosciuto per il suo ruolo di riabilitatore, ha un’importante funzione di prevenzione dei disturbi.

Il logopedista, infatti, anche attraverso una semplice consulenza logopedica, può aiutare la famiglia a capire quali atteggiamenti possono aiutare il bambino e quali invece evitare.

Per fare un esempio concreto, quando un bambino parla poco, spesso il genitore attiva una serie di tentativi per stimolare il proprio bambino che possono essere controproducenti: dai, dì bene! ripeti meglio! Non si dice così, ma così!

Allora sì che saranno guai…

L’atteggiamento migliore è quello di dare un modello corretto al bambino, usando semplici parole, senza mai chiedere di ripetere, ma sottolineando la corretta pronuncia. Possono aiutare anche altre strategie, come usare un eloquio lento e fare pause per incentivare il bambino a prendere il turno.

Un giorno il mio bambino parlerà bene?

Restando nell’ambito in cui lo sviluppo generale del bambino è adeguato su tutti i piani, tranne che in quello linguistico, cioè ai Disturbi di Linguaggio diciamo “puri”, se la diagnosi è precoce e c’è un adeguato trattamento riabilitativo con la logopedista, allora il problema si risolverà in modo completo.

Sono rari i disturbi del linguaggio che lasciano dei residui e sono per lo più quelli in cui coesiste anche una difficoltà nella comprensione del linguaggio.

L’inizio di una terapia precoce (diciamo entro i 3 anni, il che significa che i primi accertamenti sono iniziati prima) garantisce risultati più rapidi e che si avvicinano maggiormente alle fisiologiche tappe di sviluppo.

La terapia spesso non è continuativa, ma si alterna a periodi di sospensione per poter valutare anche l’evoluzione spontanea.
È fondamentale il ruolo della famiglia e l’instaurarsi di un rapporto di fiducia con la logopedista.

Un ultimo consiglio

Se il bambino ha terminato il suo percorso sul linguaggio ed ha raggiunto un buono sviluppo, è consigliabile verificare le competenze metalinguistiche durante l’ultimo anno di scuola materna per consentire un produttivo inizio degli apprendimenti scolastici.

===

Eleonora La Monaca è laureata in Logopedia presso l’Università degli Studi di Parma e da allora si occupa di bambini con disturbi del linguaggio. Nella sua attività lavorativa di tutti i giorni si occupa di:

  • Consulenza alla famiglia sui disturbi di ambito logopedico;
  • Esami del linguaggio;
  • Trattamenti riabilitativi.

Potete trovare tutte le informazioni sul suo sito www.logopediaparma.com



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *