Dipingere con il pomodoro

Pubblicato il 2 Settembre 2015 da • Ultima revisione: 23 Agosto 2023

Nella cucina di mia nonna c’era sempre il profumo intenso e colorato della salsa di pomodoro, ricca di basilico e fatta in casa con i pomodori veri, tutte le estati.
Tutti ricordano la cucina della nonna come quella migliore della propria vita, ma quella di mia nonna Pina lo era davvero (ovviamente).

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Parliamo di due nonni siciliani di Prizzi, quelli che tanto tempo fa a Torino venivano etichettati come meridionali in modo dispregiativo: quelli che facevano la salsa di pomodoro in garage o in cortile, con tutti i parenti, dopo aver lavato qualche quintale di pomodori dentro la vasca da bagno.
Avremmo potuto vergognarcene, e invece noi ragazzini eravamo eccitatissimi all’idea, e partecipavamo attivamente. Per me questa opera collettiva era arte pura, e lo è ancora di più adesso, quando lucidamente ripenso a quelle estati, e rifletto sul potere taumaturgico e aggregativo della cucina, e sulla sua intensa spinta creativa: come se quello fosse, in fondo, un collettivo di arte, e noi ne facessimo parte.

Con gli anni, tutto è invecchiato – come i miei nonni. Oggi mia nonna Pina è come un guscio vuoto, gravemente malata di Alzheimer: un involucro come la buccia di un pomodoro filtrata del suo succo, o come il guscio di un uovo rotto a metà. Ma mia nonna non era così. Non era una bambolina che fa decorazione sulla solita poltrona, dove passa tutto il suo tempo spaesata.
Mia nonna aveva ogni giorno un grembiule diverso, e tutti avevano i volant. Mia nonna al mattino si pettinava, metteva il rossetto e il profumo, quello con la pompetta bellissima, e poi il grembiule: dalla mattina presto alla sera tardi, stava sempre ad aggiustarsi il grembiule, a lisciarlo con le mani, a fare un gigantesco fiocco sul didietro.

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Con il grembiule e il rossetto cucinava, rassettava, metteva in ordine, faceva la maglia, toglieva la polvere dalle sue vetrinette piene di oggetti stupefacenti. Le bomboniere pacchiane, le statuine di Parigi, le tazzine con i fiori, il porta zollette in ceramica con tutti i fiorellini intorno al bordo. Gli oggetti delicati che per me erano il sogno di cose da grandi: quelle che Gozzano avrebbe forse definito come ‘le buone cose di pessimo gusto’, ma per me erano le piccole cose di nonna, i suoi tesori ricchissimi. Quei tesori che io, mi dicevo, un giorno sarebbero stati tutti miei.

Quest’anno io e Dafne abbiamo fatto la salsa di pomodoro insieme: io ne avevo bisogno moralmente, per superare l’assenza di mia nonna (anche se poi avrei tante riflessioni da fare, sulle mie paure, sul fatto che ho smesso di andarla a trovare…).

E siccome per noi ogni attività è un’occasione per rinsaldare la nostra relazione emotiva, ma anche per fare creatività, difficilmente ci limitiamo a cucinare senza realizzare anche qualcosa di artistico. Magari è solo una confezione o un’etichetta disegnata a mano, oppure una tovaglietta di carta disegnata con i pennarelli, o – come questa volta – direttamente un dipinto.
E siccome in questi anni abbiamo dipinto un po’ con tutto, dal caffè vero alla pittura con i fiori, e persino con la carta velina, perché non dipingere direttamente con il pomodoro?

Il risultato era proprio come le estati a casa di nonna: quel profumo pungente e aspro da annusare già per le scale, il basilico freschissimo, mentre la salsa di pomodori veri ribolliva sul fuoco e il concentrato di pomodoro asciugava sul nostro quadro. Fellini, in dialetto, avrebbe detto ‘Amarcord’. Io pensavo che quello era proprio come riportare in vita l’essenza di nonna Pina, la sua vocina sottile, le sue mani nodose – per raccontare a mia figlia che un giorno quella vecchietta assente è stata una donna fantastica, piena di vita e con un profumo buono. Una donna che serviva il tè nelle tazzine dipinte a mano, servendo le zollette dentro un piccolo fragile contenitore fiorato: perché non c’è bisogno di aspettare ospiti, per fare le cose belle.

Dipingere con il pomodoro

Ho cercato molti riferimenti di rosso nella storia dell’arte, perché io sono sempre stata innamorata del rosso Tiziano (ero segretamente fidanzata con L’uomo dal guanto, da ragazzina) e del rosso Mantegna: avete presente quell’intensità dei marmi di Mantegna, soprattutto quello in cui viene raffigurato il Cristo Morto? Per non parlare della mia ossessione per Caravaggio: quei drappi rossi ne La morte della Vergine, oh, quei drappi rossi e quel vestito, così scandalosamente potenti!

Ma poi, dovendo dipingere un quadro con Dafne, ho scelto Matisse, e La stanza rossa, che mi sembrava altrettanto evocativa, senza dovermi inerpicare in spiegazioni religiose e sul senso della vita e della morte.

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Materiali: 

  • due stampe in buona qualità de La stanza rossa di Matisse
  • cartoncino nero
  • cartoncino color crema (meglio del bianco: fa risaltare meglio il colore del pomodoro)
  • carta scrap intonata ai colori del dipinto (noi abbiamo scelto una carta leggera a righe arancioni e senape)
  • forbici dalla punta arrotondata
  • colla gel
  • pennelli
  • concentrato di pomodoro Cirio
  • salsa Rubra Cirio
  • una goccia di tempera rossa

Teniamo da parte una stampa del dipinto per ispirarci in ogni momento del nostro lavoro. Scomponiamo invece la seconda stampa, utilizzando le forbici arrotondate, per ritagliare i contorni di tutti gli elementi: i cibi, i fiori, la donna, la finestra e gli elementi decorativi. Teniamoli da parte.

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In un piattino, facciamo le prove di colore. Non serve acqua per diluire le salse, perché noi vogliamo ottenere un colore pieno. Usiamo diverse salse, con differenti consistenze: la Rubra è più liquida, quindi ha un colore più tenue; il concentrato di pomodoro è invece corposo e denso, e quindi lascerà delle strisce di colore, quando passeremo il pennello sul cartoncino. Continuiamo ad aggiungere colore finché non siamo soddisfatti del risultato, eventualmente rimuovendo gli eccessi di salsa con un tovagliolo di carta.

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Per rendere i rossi più intensi, possiamo aiutarci con una goccia di tempera rossa, per definire la tavola, ovvero la parte bassa del disegno. E’ importante che il disegno sia quasi separato in due, in orizzontale, da due gradazioni di rosso differenti, perché la parte bassa e più scura sarà la tavola, e la parte più chiara sarà quella che rappresenta le pareti della stanza rossa.

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Lasciamo asciugare bene, e quando siamo certi del punto di rosso pomodoro che abbiamo realizzato, iniziamo ad incollare le parti del dipinto – anche in modo poco preciso, o casuale, o persino scombinando la realtà del quadro: Matisse, quando dipingeva ‘La stanza rossa’, non voleva dipingere una stanza in modo realistico; Matisse stava riproducendo un sentimento interiore, un’emozione, che non ha bisogno di uno spazio reale, ma che si può manifestare nel colore stesso, anche nell’assenza di una vera prospettiva e nell’assenza di realismo.

Parliamone con i bambini.

  • A cosa ti fa pensare questo dipinto? Quali emozioni vi assoceresti?
  • E se lo riproducessimo in blu oppure in nero, quali altre emozioni rappresenterebbe?
  • Secondo te cosa pensa la donna nel dipinto?

Perché è vero che l’arte ha un linguaggio codificato, ma possiede anche un metalinguaggio, una sua forza espressiva che va oltre le parole e le interpretazioni critiche e scientifiche delle opere: l’arte è – come la musica – un’esperienza di creatività emotiva e intima, che tocca profondamente le corde dell’anima di ciascuno di noi in modo differente.

Matisse qui voleva rappresentare la tranquillità e l’equilibrio della vita, nelle occupazioni quotidiane di una cameriera. La luce diffusa infonde un clima di serenità e speranza (infatti il dipinto si chiama anche Armonia in rosso). E riesce a farlo con il rosso, che è invece per antonomasia il simbolo della rabbia, del sangue, della morte e della vita.

  • Noi in quale colore troviamo la nostra armonia? E i nostri figli?
  • E, siccome lo stiamo dipingendo con il pomodoro: in quale profumo percepiamo il nostro equilibrio?
  • Nel profumo della cucina, oppure nella coperta sul letto, o nell’odore di bucato appena fatto, o… ?

Mescoliamo le sensazioni: si chiama sinestesia. Ovvero associare due parole a diverse sfere sensoriali (come quando diciamo ‘silenzio verde’, ‘colori caldi’).

Appisolarmi là
solo
in un caffè
remoto
con una luce fievole
come questa
di questa luna.
[Ungaretti, C’era una volta]

Luce si colloca infatti sul piano della vista, mentre fievole si colloca sul piano dell’udito. Sono stati soprattutto i poeti decadenti, a fare di questa figura retorica, la sinestesia, il proprio manifesto. Io che amo Baudelaire alla follia, non posso dimenticarlo. Così come Rimbaud e Huysmans, a cui appartiene uno dei libri più belli che io abbia letto in vita mia (Controcorrente).

Non abbiate paura di parlarne ai bambini: l’arte è comprensibile ad ogni età. Oggi magari parlerete della serenità di Matisse, o leggerete insieme un verso di Ungaretti o una strofa di Baudelaire. Domani, come un imprinting artistico, queste poche parole diventeranno una base di vita per i bambini: un cassetto della memoria da cui prendere spunti di vitalità e di cultura.

Il colore rosso nella storia dell’arte

Una piccola nota sul rosso: perché non cogliere l’occasione creativa per parlare delle varie espressioni del rosso nell’arte? Dalle più semplici e pop, come il rosso Valentino e il rosso Ferrari, o i colori delle facciate delle case, come il rosso veneziano, il rosso pompeiano e il rosso bolognese. Sino alla teoria del colore e soprattutto ai dipinti meravigliosi che sono giunti sino a noi.

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C’è il rosso di Antonello da Messina, e quello veneziano del Giorgione della Pala di Castelfranco, il rosso oro di Tiziano (quasi fulvo, tant’è che esistono persino delle tinte per capelli, oggi, chiamate con questo nome), il rosso Mantegna, il rosso Caravaggio.

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E poi c’è il rosso dei papaveri di Monet, che è impressionista, e il suo contrario: il rosso dei Fauves (a cui apparteneva appunto Matisse), che erano persino chiamati ‘le belve del colore’. Il movimento francese dei Fauves che contribuì alla nascita dell’espressionismo, in una sua versione più solare e vivida. L’inno alla ‘gioia di vivere’. Attraverso alcune convinzioni stilistiche: il dipinto che si compone unicamente di colore, senza badare al realismo o alla verosimiglianza con la natura. Il colore è espressione del proprio sentire interiore.

Uso i colori più semplici, non li trasformo io, ci pensano i loro rapporti.
[Henri Matisse]

Matisse definiva la pittura Fauves come:

il coraggio di ritrovare la purezza dei mezzi

E noi ne siamo capaci?
Possiamo stimolare i bambini a ritrovare la purezza del colore e trasfigurare la realtà, per rappresentare i propri sentimenti, e dunque iniziare a prenderne possesso?



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