Il Reggio Emilia Approach e l’esperienza pedagogica di Loris Malaguzzi
Pubblicato il 20 Marzo 2014 da Mamma Felice • Ultima revisione: 26 Novembre 2015
Il Reggio Emilia Approach è un progetto educativo basato sulla centralità delle competenze del bambino, dei suoi diritti e delle sue potenzialità.
È ormai un metodo diffuso in tutto il mondo, ma nasce a Reggio Emilia nel 1945, quando, nell’immediato dopoguerra, un gruppo di donne di una piccola frazione cittadina, spinse per impiegare un piccolo fondo nella costruzione di un asilo “nuovo”, che trasmettesse ai bambini ideali di giustizia e uguaglianza. Un contadino regalò loro la terra e tutti si misero all’opera per offrire ai bambini un luogo in cui poter essere accolti e aiutati a crescere.
Durante questi lavori, un maestro della zona, sentitone parlare, si recò in bicicletta a vedere cosa stesse succedendo e ne rimase affascinato. Si chiamava Loris Malaguzzi e divenne presto anima pedagogica di tutte le scuole dell’infanzia reggiane.
Una pedagogia “con le mani in pasta”, così io definisco quella di Malaguzzi, perché mette al centro il bambino come essere in grado di imparare facendo e come soggetto perfettamente capace di auto-costruirsi ed evolversi giorno per giorno, attraverso l’uso dei suoi “cento linguaggi”.
La scuola dunque, non come luogo esclusivo e diretto di apprendimento ma come luogo in cui costruire le condizioni giuste per l’apprendimento.
I tratti distintivi di questo progetto educativo sono:
– la partecipazione delle famiglie,
– il lavoro collegiale di tutto il personale: viene coinvolto in riunioni e serate anche il prezioso personale della cucina
– l’importanza dell’ambiente e dello spazio, la cucina interna,
– il coordinamento pedagogico
– la presenza dell’atelier e della figura dell’atelierista (ed è proprio su questa figura che volevo focalizzarmi oggi).
Indice dell'articolo
L’atelier delle scuole di Loris Malaguzzi
Loris Malaguzzi ne parlava così:
“L’atelier (…) ha prodotto un’irruzione eversiva, una complicazione e una strumentazione in più, capaci di fornire ricchezze di possibilità combinatorie e creative tra i linguaggi e le intelligenze non verbali dei bambini, difendendoci non solo dalle logorree (…) ma da quella pseudocultura della testa-container che (…) è il modello che dà al tempo stesso la maggiore impressione di progresso culturale e la maggior depressione dal punto di vista dell’aumento effettivo della conoscenza”.
Ma che cos’è esattamente?
L’atelier è il luogo “di tutto quel che è possibile”. Dell’invenzione, della creatività più spinta, è il luogo in cui ci si sporca le mani con la creta e ci si dipinge il viso con i pennelli. Dove si studiano le foglie, i fiori, le gemme e gli ecosistemi, dove si impara a costruire una meridiana e dove si capisce nella pratica che cosa significhi riciclare.
Negli atelier si annusano i colori, si assaggiano i suoni e si ascoltano i sapori.
Alcune scuole hanno sia l’atelier che i mini atelier (uno in ciascuna sezione): una possibilità quotidiana, per ogni bambino di incontrare più materiali, più linguaggi, più punti di vista, di avere contemporaneamente attive le mani, il pensiero e le emozioni, valorizzando l’espressività e la creatività di ciascuno, secondo le sue competenze e le sue qualità.
L’atelierista è la figura che segue i bambini in queste attività di scoperta e solitamente ha competenze di natura artistica. È lui che li accompagna nel parco e sceglie le tracce del lavoro dell’anno: acqua, aria, terra. O, ancora, lo studio delle finestre e delle panchine. È l’atelierista che, come una levatrice, aiuta i bambini a declinare le parole in uno degli altri 99 linguaggi che loro hanno a disposizione.
Un posto per il pensiero creativo, dove ripensare le idee secondo linguaggi simbolici ed espressività differenti: un aiuto a farsi capire, anche dagli adulti.
A proposito di adulti, l’atelier è un posto anche per loro, è il luogo in cui i genitori imparano gli altri 99 linguaggi dei loro figli, il luogo della scoperta e della comunicazione alternativa a quella verbale. In atelier si impara ad ascoltare.
Quante cose mi hanno raccontato i miei bimbi attraverso disegni, sculture, creazioni e installazioni. Certamente di più di quelle che mi hanno descritto a parole.
“…nonostante tutto è lecito pensare che la creatività, come sapere e stupore del sapere (…), possa essere il punto di forza del nostro lavoro, nella speranza che essa possa diventare una normale compagna di viaggio dell’evoluzione dei bambini” (Loris Malaguzzi)
Approfondimenti:
http://www.reggiochildren.it/
http://reggiochildrenfoundation.org/
http://www.scuolenidi.re.it/
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Articolo a cura di Mamma Imperfetta per Hedrin.
Mammamia che belle cose!
Noi siamo calati nel medioevo più buio della scuola, cose così virtuose mi fanno sperare che prima o poi anche qui vedremo la luce, nel frattempo i miei figli saranno troppo cresciuti 🙁
Eh… credo sia un problema comune: sapere che esistono bellissime realtà come questa, e poi quotidianamente avere a che fare con la peggiore scuola possibile. Fa un po’ di tristezza, ma dà anche tanta speranza che le cose belle si possono (e si devono) fare!
Mi manca…! Ho lavorato cosi’ dopo la nascita di Ale e felice che Ale sia stato in un nido che segue questa filone, con delle golleghe fantastiche poI! Non è tutto rose e viole però! Il nostro atelier era piccolo e sempre in movimento, poi a causa di spazi limitati è diventato itinerante!
Il nostro nido aveva (e ha ) sempre allestimenti pazzeschi e originali, poi ogni tanto arriva l’asl e fa togliere tutto :/
Avrei voluto anche una scuola dell’infazia per Ale cosi’…
Mi ricordo il tuo nido e i tuoi lavori… me ne sono innamorata dall’inizio!
Samuele ha avuto la fortuna di frequentare l’ultimo anno di scuola infanzia in una struttura comunale in Romagna 🙂
Un anno che io, ma neppure lui, dimenticheremo mai! Il progetto atelier, che neppure io conoscevo, è stato meraviglioso ed ha permesso ai bimbi di approfondire l’argomento su cui era basato il progetto annuale: l’acqua. Non ti racconto nei dettagli, ne ho ampiamente parlato nel mio blog, ma i bimbi hanno fatto di tutto con l’acqua. Non parliamo poi di tutto il contorno… i bambini a inizio anno hanno trovato un uovo di drago in giardino che hanno accudito e il draghetto è nato e volato via per poi portare periodicamente regali, racconti e richieste su acqua e fuoco…
anche io ho fatto un progetto sull’acqua e sui rumori dell’acqua, abbiamo costruito un burattino e tutta l’ambientazione al nido…e io adoravo portare i nani in atelierrrrrr:P che ve lo dico a fa