La casa alla fine del mondo

Pubblicato il 17 Maggio 2012 da

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C’è un bellissimo libro dello scrittore americano Michael Cunningham Una casa alla fine del mondo (A Home at the End of the World), che poi è diventato anche un film, che io ho sempre amato molto. Un romanzo di formazione, per me. Parla di una famiglia diversa, atipica, di tre adulti che si sono scelti e convivono, e fanno anche un figlio, in un quadro che oscilla tra amicizia, amore, malattia, abbandoni, morte.

Una famiglia che esce totalmente dai canoni, e probabilmente alcuni guarderebbero storcendo il naso. Le vicende dell’aids, la droga, la promiscuità, le miserie delle vite spezzate. E questa grande casa rustica, in mezzo al nulla, con un pozzo e un giardino: una casa alla fine del mondo.

Alla fine del mondo conosciuto, alla fine del mondo che tutti sappiamo.

Dafne alcuni giorni fa ha disegnato la casa di Dionisio. E io ho pensato subito al romanzo di Cunningham e alle sensazioni che provai in Brasile: lo stordimento delle sfumature, quando le tue certezze bianco/nero vacillano, e il mondo inizia ad assumere sfumature e variazioni di colore, e non sai più chi eri, perché non sai più cosa pensavi.

Le case di Antenor Garcia erano di mattoni, con il tetto in lamiera. Una casa poteva essere grande circa come un soggiorno medio. Considerate che il mio soggiorno, che io ritengo piccolo, misura 5×4 metri: in quello spazio ci viveva una famiglia di 5 persone, con il letto (unico) dove dormivano tutti, il fornello poggiato a terra, un tavolino e un water piccolo nascosto dietro a una pila di mattoni.

Davanti a casa c’è la terra rossa della favela, con i rifiuti sparsi in terra, un piccolo orto di 2 metri in cui piantare i fagioli, e l’acqua, non potabile, che viene presa a mano dalla fontana centrale, vicino alla chiesa.

E la famiglia non è un progetto. Di volta in volta entrano a far parte della famiglia uno zio, un cugino, un bambino abbandonato che passava di là. E le famiglie sono agglomerati razziali con bambini biondi con gli occhi azzurri, bambini neri con i capelli ricci, bambini rossi di capelli.

Nella comunità di Dionisio sembra che le cose vadano un po’ meglio: lui vive in un paesino rurale e i suoi mammapapà hanno anche degli animali domestici, delle capre. Ho ricevuto la sua lettera: un suo disegno di pochi scarabocchi, con un testo stentato scritto dal referente di Action Aid: Dionisio ha avuto l’influenza, un mesetto fa, ed è stato molto male. Ma adesso sta bene e ci saluta tutti.

Io mi dico che il nostro sostegno non è per Dionisio, perché noi non siamo i suoi genitori adottivi: noi sosteniamo un’adozione comunitaria, ovvero Dionisio è il simbolo della sua comunità. Dionisio potrà vivere o morire, crescere o perdersi, ma noi sosterremo la sua comunità, per fare in modo che la sua comunità possa occuparsi di lui. Del suo futuro.

In un altro emisfero della terra, in un altro paese, in un posto dove c’è il giorno quando qui fa buio.
Laggiù, in quell’altro mondo, c’è una comunità che ha bisogno del nostro sostegno.

E’ una casa alla fine del mondo.
Ma speriamo che il mondo non finisca davvero.



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