10 buoni motivi per non picchiare mai i bambini

Pubblicato il 13 Novembre 2017 da

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Il valore educativo del dolore è pari a zero: né il dolore fisico, né il dolore morale sono educativi. Anzi: sono come cicatrici che con il tempo rendono infelici i bambini.

I bambini non hanno esperienza del mondo: siamo noi la loro esperienza, siamo noi il loro esempio.
Loro hanno bisogno di tempo per imparare: questo significa che dovremo ripetere loro mille volte, con pazienza, le nostre regole, perché i bambini non possono comportarsi come robot che eseguono i nostri comandi al primo colpo, a nostro piacimento.

Molti credono che scegliere il dialogo invece delle sculacciate significhi essere permissivi. Come se esistessero solo due fazioni: le botte e l’assenza di regole. 
Non è vero: ci possono essere regole giuste anche in assenza di botte, e non sono le botte a insegnare al bambino a rispettare le regole, ma anzi la loro condivisione, l’esempio, il rispetto totale per i loro sentimenti e le loro idee.

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Non picchiare non significa essere permissivi

I bambini hanno bisogno di regole, e sta a noi dare loro le regole giuste all’età giusta: regole che possono comprendere e che noi dobbiamo spiegare, sempre, più di una volta, finché possiamo condividerle con loro.

Ma la vita non può essere un’unica regola: sta a noi stabilire quali sono le regole importanti, senza credere che tutto, nell’educazione dei figli, sia questione di vita o di morte. 

Spesso ci sono delle esagerazioni senza senso!

  • Urla, minacce e schiaffi perché un bambino non vuole indossare i calzini o il cappello. Come se non fosse perfettamente in grado di capire da solo se ha freddo, e quando ha freddo.
  • Botte e punizioni se il bambino non finisce tutto quello che ha nel piatto. Come se non fosse perfettamente in grado di capire se è sazio.
  • Urla, botte e minacce quando il bambino fa i capricci, come se i capricci fossero un dispetto verso i genitori.

Maria Montessori diceva che i bambini sono competenti: perché non impariamo a rispettare le competenze dei bambini, lasciando che prendano alcune piccole decisioni per se stessi, come quella di coprirsi, mangiare, esprimersi?

I capricci sono semplicemente un mezzo di espressione, il modo in cui il bambino comunica un suo disagio: perché non impariamo ad ascoltarlo? Perché non impariamo a tradurre le sue emozioni con empatia, invece di azzittirle? 

Picchiare è il segno della debolezza degli adulti

Di solito chi picchia un bambino lo fa per imporre delle regole che non riesce a far rispettare con autorevolezza. Diventa un genitore autoritario, invece che autorevole: uno di cui il bambino non ha rispetto, perché non rappresenta un esempio, e a cui il bambino obbedisce solo perché in minoranza fisica. 

Arriverà un giorno in cui quel bambino non sarà più così piccolo e così debole fisicamente, e allora lo scontro potrebbe essere violento: siamo pronti ad essere a nostra volta ‘educati’ con l’aggressività?

Allo stesso modo, un bambino educato con i premi, non imparerà il valore delle sue azioni, né acquisirà la motivazione per fare bene le cose. Farà tutto solo per ricevere un premio, e poi un altro, e poi un altro… assetato di premi, invece che di valori.

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Picchiare rende deboli

Un bambino dovrebbe trovare all’interno della sua famiglia il rispetto, l’amore e la protezione che gli servono per diventare un essere umano fiducioso e autonomo. Se fin da piccolo il bambino viene maltrattato proprio da chi avrebbe dovuto proteggerlo, la sua autostima diventerà pari a zero.

Un bambino picchiato, diventa un bambino debole, assoggettato alla paura e desideroso di compiacere gli altri, al punto di annullare se stesso.  Diventa pauroso, vendicativo, pieno di sensi di colpa che lo schiacciano. 

Un bambino soldatino, che non risponde ai genitori ed esegue tutti gli ordini, non è per forza un bambino educato: è un bambino inibito, che non riesce a esprimere i suoi pensieri, probabilmente infelice, pronto a diventare un adulto conformista, scarsamente autonomo e privo di originalità e di carattere.

Picchiare non insegna

Quando un bambino viene picchiato, non sta imparando a distinguere il bene dal male, ma sta solo imparando a non far arrabbiare il genitore. Le botte quindi non risolvono il problema, perché non aiutano il bambino a comprendere il suo errore, ma semplicemente spostano il problema più in là.

Il rapporto genitore e figlio non sarà quindi un rapporto vero, ma un rapporto falso: si comporterà ‘bene’ non perché è giusto, ma nei modi in cui questo gli permette di sfuggire alla violenza e di accontentare i genitori, anche se i propri valori non coincidono.

Picchiare impedisce il dialogo

L’unica vera ed efficace strategia educativa è il dialogo genitori-figli. Non a caso la Montessori parlava molto di verbalizzazione: dare un nome alle emozioni dei bambini, anche quelle negative, per accettarle, prenderne atto, applicare le risorse della resilienza – ovvero trovare le risorse per trasformare le proprie mozioni e reagire efficacemente.

I castighi impediscono al bambino di imparare a risolvere i conflitti in modo umano ed efficace. Come ha scritto l’educatore John Holt, “Quando facciamo paura a un bambino noi fermiamo di colpo il suo apprendimento.”

Picchiare toglie le emozioni buone

Un bambino che viene picchiato, impara a provare la paura verso i genitori, e quindi percepisce i genitori come cattivi e ingiusti nei suoi confronti. Le botte gli vengono presentate come educative, ‘per il suo bene’, mentre però gli creano paura e dolore.

Ecco che quindi nasce una sorta di dissonanza nel bambino, che è costretto a cancellare i suoi sentimenti negativi, con la rimozione. Può provare una sorta di cecità emotiva, che gli impedisce di provare sentimenti reali, e di provare l’empatia, sia da bambino che da adulto. 

Potrebbe diventare un adulto incapace di amare, di avere gesti di tenerezza, di provare compassione, di provare pietà per gli altri. 

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Picchiare rende aggressivi

Un bambino che viene picchiato, userà le stesse dinamiche anche con i fratelli e a scuola: matura dentro se stesso una rabbia e una aggressività che da qualche parte dovranno uscire.

Da grande potrebbe ripetere i maltrattamenti sui figli, oppure dovrà fare un enorme sforzo per allontanarsi dalla violenza come metodo educativo, e non ripetere gli errori dei genitori. Quanta fatica gli costerà tutto questo?

Picchiare non fa ridere, non esiste differenza tra ‘picchiare poco e picchiare molto’

Se picchiamo un bambino, gli insegniamo che la violenza è il modo di ottenere quello che vuole.

Non importa se si parla di uno schiaffo, di una pacca sul pannolino o una ciabattata ben assestata: le botte sono botte sempre, e non esistono botte più o meno forti. Ogni tipo di violenza fisica resta pur sempre una violenza fisica, e non fa ridere, nemmeno dopo tanti anni.

Quando diciamo cose come: Ai miei tempi i miei genitori mi hanno picchiato e mi hanno raddrizzato, siamo consapevoli che è stato proprio quel loro modo di ‘educarci’, che oggi ci fa essere violenti con i nostri figli?

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Picchiare rende infelici

Non è altro che un’illusione, pensare che un bambino cresciuto a sculacciate diventerà ubbidiente e tranquillo. Al contrario, diventerà un ragazzo irrequieto, con un malessere interiore, soggetto a depressione e stress, e probabilmente smetterà di amarci. Perché nemmeno noi lo abbiamo amato abbastanza.

Gli abusi non si dimenticano: anche se abbiamo abbracciato, consolato e ascoltato mille volte, può essere che nostro figlio ricorderà solo quella volta in cui lo abbiamo picchiato, e non le altre in cui lo abbiamo amato, perché molti bambini ricordano molto più i messaggi violenti, di quelli affettuosi – li percepiscono come un’ingiustizia che non può essere dimenticata. 

Come possiamo cambiare e praticare una pedagogia positiva subito?

Invece di crogiolarvi nei sensi di colpa o nella certezza che una sculacciata non abbia mai ucciso nessuno, potete sin da oggi cambiare il vostro comportamento.

Aver dato uno schiaffo a vostro figlio non vi rende dei mostri, ma è il momento di correggere subito la rotta, prima che lo schiaffo diventi una errata ‘modalità educativa’ continuativa. 

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Innanzitutto: Non possiamo pretendere di educare, quando siamo arrivati alla rabbia.

Impariamo a riconoscere noi per primi le nostre emozioni: la stanchezza, la rabbia, lo stress… Quando proviamo un sentimento negativo accogliamolo, cerchiamo di capirne la causa, parliamone ad alta voce. Non usiamo le punizioni e le sculacciate come meccanismo per sfogare la nostra rabbia e il nostro stress. Invece di usare le mani, usiamo le parole!

Quando vi accorgete che state per esplodere, allontanatevi un momento dalla stanza spiegando il vostro nuovo comportamento: Non voglio arrabbiarmi, né alzare le mani, quindi ora vado a calmarmi nell’altra stanza e voglio restare un momento da solo.

Se i bambini fanno i capricci, abbracciateli e imparate a verbalizzare le loro emozioni: Capisco come ti senti, sei arrabbiato perché non ti ho dato il permesso di mangiare la cioccolata prima di pranzo. Ora lascio che ti calmi un momento, così puoi accettare questa regola, e poi possiamo continuare a giocare insieme. 

Se siete troppo stanchi per la contrattazione, ammettetelo: Adesso non ce la faccio, non ho voglia di discutere perché sono molto stanco. Parliamo di questo domani, quando siamo entrambi calmi e riposati. 

Se i bambini sono troppo nervosi e non riuscite a calmarli con la verbalizzazione, fateli ridere: non c’è migliore terapia di una bella risata, quando si sta male. Farà bene ai figli, ma soprattutto a voi. Perché siete delle brave persone, e meritate la felicità insieme ai figli, sempre, a partire da subito.



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