Pedagogia Nera: quella catena invisibile che dobbiamo spezzare

Pubblicato il 9 Dicembre 2019 da • Ultima revisione: 9 Dicembre 2019

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La pedagogia nera è talmente subdola, da essere considerata normale. Scommetto che molti di voi, leggendo questo post, si riconosceranno negli effetti della pedagogia nera, sul modo di educare i figli e di trattare con loro.

Il primo subdolo effetto? Pensare che con questo tipo di educazione ‘non è mai morto nessuno‘, e che almeno ‘ai nostri tempi i genitori ci davano uno schiaffo per insegnarci, mentre invece i giovani di oggi crescono senza regole e guarda cosa succede‘.
Ecco: voi siete esattamente un anello della catena di dolore della pedagogia nera, e se una catena è tanto più forte quanto lo sono i suoi anelli, voi la rendete più forte. Non perché siete cattivi, ma perché nessuno vi ha insegnato che l’educazione è ben altro. Perché la pedagogia nera è così radicata nella nostra cultura, da tramandarsi come normale di generazione in generazione. 

La prima confusione sulla pedagogia nera, infatti, si ha sempre sul rispetto delle regole: molti fanno automaticamente il ragionamento che per far rispettare le regole ai figli servano due sculacciate ogni tanto. C’è l’associazione mentale che se non dai due sculacciate ai tuoi figli, allora non gli dai regole. Sbagliato. 

Sono proprio gli effetti della pedagogia nera a creare problemi sociali: ansia, depressione, aggressività, frustrazione, odio e violenza, insoddisfazione, incapacità di relazionarsi in modo sano con gli altri.
Le conseguenze della violenza sui bambini non sono lievi: il trauma prima o poi emerge nella vita delle persone, anche quando viene rimosso.

La pedagogia nera magari non produce bambini maltrattati nel senso stretto della parola, ma bambini trattati male. 

La pedagogia nera non è un metodo educativo. Un metodo educativo, infatti, ha come obiettivo lo sviluppo del bambino, non i bisogni dell’adulto.
Il bisogno di obbedienza, di serenità, di avere accanto dei figli silenziosi e dei robottini che non diano fastidio, che non esprimano emozioni, che ci rendano la vita facile e magari ci facciamo anche fare bella figura con gli altri. La pedagogia nera reprime il bambino, per sottometterlo.

Come si manifesta la pedagogia nera, e come cambiare atteggiamento

La pedagogia nera esiste quando l’adulto esercita un potere assoluto sul bene e sul male. L’adulto che si atteggia ad autorità suprema, con lo scopo dell’obbedienza: i bambini devono obbedire, sottomettersi, rispettare. Per il loro bene e per il bene della società.

Le regole dunque vengono imposte non perché condivise emotivamente con il bambino, ma perché calate dall’alto.
Di solito perché l’adulto non può perdere tempo (obbedire invece di capire: è più immediato), o perché vuole fare bella figura con gli altri (bambino che non fiata al ristorante, rispetto a un bambino con una normale vitalità), oppure perché è meno stancante (bambino che richiede meno attenzioni emotive).

Ricerca pedagogica ed educazione familiare: studi in onore di Norberto Galli

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La giustificazione di chi usa la pedagogia nera è sempre la stessa: una sculacciata non è violenza, non esageriamo!
Del resto lo abbiamo già detto, no?: Una sculacciata non ha mai ucciso nessuno. 

Nella realtà, questo metodo non-educativo ha ucciso sì: ha ucciso la vitalità di quei bambini ormai adulti, ne ha ucciso l’unicità, il pensiero critico, la capacità di resilienza, la fiducia in se stessi e l’autostima, la capacità di instaurare relazioni empatiche o amorose soddisfacenti.
La pedagogia nera ha ucciso la felicità di quei bambini, rendendoli tristi, o arrabbiati, o furiosi addirittura, o depressi, o ansiosi.

State usando la pedagogia nera quando usate:

  • Punizioni corporali: dal buffetto sulla mano, alla sculacciata, allo schiaffo;
  • Il digiuno: vai a letto senza cena, non puoi bere finché non mangi la verdura (questo me lo facevano sempre le suore all’asilo!);
  • Umiliazione fisica: quando si fa assumere al bambino una posizione scomoda e umiliante, tipo in ginocchio sul pavimento o nell’angolo in piedi (a me è successo anche di essere tenuta sveglia per ore di notte, alla sola luce di una candela).
  • Sgridata o rimprovero: quando si sgrida il bambino alzando la voce, urlando, spaventandolo, dicendo NO senza spiegazioni e utilizzando la propria presenza per sottometterlo;
  • Reclusione in spazio chiuso: per esempio la chiusura in uno sgabuzzino (il mio apice era sgabuzzino senza cena, olè!);
  • Isolamento dalla società ‘fino a nuovo ordine’: per esempio impedendo al bambino di uscire, di usare il telefono, di tenere contatti con gli altri (io venivo tenuta anche a casa da scuola, senza la possibilità di parlare con nessuno);
  • Privazione e punizione: quando si priva il bambino di oggetti che gli sono cari, o di attività che ama (per esempio punire il bambino togliendogli il telefono, oppure non mandandolo a giocare a calcio);
  • Imposizione di attività faticose o noiose: per esempio compiti di punizione, lavori fisici da fare in casa (a noi per esempio venivano tutti i sabati svuotati i cassetti delle scrivanie in terra, da riordinare).

Se ancora non vi riconoscete in questi atteggiamenti, ecco alcuni esempi più concreti.

La punizione non è un metodo educativo

Molti genitori usano le punizioni per obbligare il bambino a comportarsi bene.

Esempi di punizione a livello familiare accadono quando il bambino prende brutti voti a scuola, quando dice bugie, quando dice parolacce, quando rompe qualcosa, quando disobbedisce a una regola, quando perde un oggetto importante.

Esempi di punizione a livello scolastico avvengono quando il bambino disturba durante la lezione, quando fa qualcosa di vietato (per esempio usare il cellulare), quando non fa i compiti o li dimentica a casa, quando fa rumore.

Cosa succede? Tipico esempio: il bambino che non mette in ordine i giocattoli in camera sua. Il genitore glielo dice una, due, tre volte. Alla quarta volta scatta la punizione.
Per esempio mette tutti i giocattoli in un sacco e fa finta di buttarli, o li butta veramente.
Oppure vieta il cellulare o la televisione.
Oppure impedisce al bambino di andare alla festa del suo amichetto, o di fare qualcosa che gli aveva promesso.

Cosa ottiene? Tanta rabbia, risentimento, odio, frustrazione verso l’adulto. Ma anche tanta insoddisfazione verso il bambino stesso, il quale si incolpa di ciò che è successo (perché ricordiamoci che i bambini hanno come scopo quello di far felici i genitori) e di conseguenza la sua autostima si incrina ogni giorno di più.

Cosa bisognerebbe fare?

Bambino che non mette a posto la sua stanza

Ci siamo chiesti se ha l’età giusta per percepire il disordine? Cosa che non avviene prima dell’adolescenza.

Invece di arrivare allo scontro finale, e quindi sprecare un’ora del nostro tempo ad urlare e avvelenarci, dedichiamo 15 minuti a rimettere la stanza a posto insieme. Impostiamo il timer e aiutiamolo.

E organizziamo la cameretta in modo che riordinare sia semplice: se ci sono troppi oggetti e troppi giochi, vanno eliminati pian piano.
L’ordine è più semplice, se abbiamo poche cose.

Bambino che non vuole vestirsi

Al mattino siamo già sclerati perché siamo di corsa e il bambino non vuole vestirsi o lavarsi e sembra che lo faccia apposta a diventare ancora più lento, cosicché noi urliamo di muoversi, lo vestiamo a forza, lo strattoniamo.

Riavvolgiamo il nastro e cambiamo atteggiamento. Impariamo ad essere allegri, a canticchiare, a fare le gare per chi si veste per primo. Alleggeriamo l’atmosfera. Magicamente il bambino si preparerà in tempo, perché non si sentirà biasimato, né pressato.

Magari vuole solo indossare la maglietta gialla invece di quella rossa?
magari è solo stanco, perché ieri sera abbiamo fatto tardi?
Magari è oppositivo perché sente che siamo troppo sbrigativi e non gli dedichiamo tempo e attenzioni?

Bambino che fa ‘i capricci’

Siamo al supermercato e il bambino fa il capriccio perché vuole la cioccolata.

Come siamo arrivati a quel punto?

  • trascinare i bambini con sé ovunque: sarà davvero la scelta migliore? perché portarli al supermercato o al ristorante, in luoghi affollati e rumorosi, se non sono ancora pronti ad affrontare una situazione iperstimolante?
  • portare i bambini al supermercato a orari comodi per noi: sarà la scelta migliore? magari quando sono stanchi, o in pausa pranzo così non c’è nessuno e non facciamo coda…
  • mettere i bambini sul carrello immobili, costretti a stare fermi in un luogo che invece è ricco di stimoli: perché non li coinvolgiamo a fare la spesa insieme?
  • abbiamo spiegato al bambino, prima di entrare al supermercato, che non avremmo comprato la cioccolata?
  • abbiamo spiegato al bambino, prima di entrare al supermercato, che la regola della nostra famiglia è che la cioccolata si mangia solo in determinati momenti?

Un capriccio è solo una forma di comunicazione. La maggior parte delle volte il bambino, con un capriccio, ci sta solo dicendo che: è stanco, ha fame, è sovrastimolato, ha bisogno di attenzioni.

La cosa migliore da fare non è certo urlare o dare uno schiaffo, ma abbracciare, contenere, coccolare. Aiutare il bambino a calmarsi.

Le regole non si insegnano con la forza

Sarebbe davvero comodo se le regole si potessero insegnare con la sola imposizione delle mani, o ripetendole all’infinito finché non entrano nella testa dei bambini. ma non funziona così. le regole si insegnano con l’esempio!

Smettila di urlare! Dice il genitore urlando.
Non devi alzare le mani agli altri bambini! Dice il genitore mentre dà una sculacciata al figlio.
Devi riordinare la tua stanza! Dice il genitore mentre butta all’aria i giocattoli.
Devi smetterla di fare i capricci! Dice il genitore sbraitando.

Oh, sì, che coerenza! Che messaggio educativo perfetto! Tu bambino non devi fare quello che faccio io. Perché? Perché lo dico io!
Ah. Ok.

Le regole si insegnano per coerenza.

Se vogliamo che i nostri figli siano gentili con gli altri, noi dobbiamo essere gentili con loro, con gli altri e con noi stessi.
Se vogliamo che i nostri figli siano educati, noi dobbiamo essere educati: per esempio smettendo di dire parolacce in auto, oppure evitando commenti orribili a cena sulle altre persone, o evitando di insultare gli altri o i membri della famiglia.
Se vogliamo che i nostri figli vadano bene a scuola, dobbiamo seguirli, firmare il diario, farci vedere mentre leggiamo dei libri anche noi!

I bambini, per imparare le regole, hanno bisogno di farne esperienza. E questo significa che a volte sbaglieranno, perché fare esperienza delle cose significa provare e riprovare, finché non si riesce.

Oh, cavolo: quindi essere genitori è faticoso?

Esatto! La pedagogia nera è una scorciatoia: viene usata da chi non ha voglia e tempo di educare bene i figli e vuole affrettare i tempi.

La durezza non è un metodo educativo

Lasciamo piangere, altrimenti lo vizi. 
Lascia che se la sbrighi da solo: finché non vedo il sangue, io non intervengo. 

E quante altre frasi del genere sentiamo? Come se i bambini dovessero farsi le ossa per prepararsi al mondo là fuori, che può essere effettivamente duro.

In realtà, così li rendiamo solo più fragili e privi di autostima.
Un bambino cresciuto con durezza, sarà duro con gli altri e fragile con se stesso.
Un bambino cresciuto affettuosamente, sarà gentile con gli altri e più forte con se stesso.

L’autostima, infatti, si forma solo quando nell’infanzia ci si sente amati qualunque cosa succeda. Anche quando si commette un errore, anche quando si rompe un oggetto o si fa un capriccio.

Se il bambino sente che l’amore dei suoi genitori non viene mai a mancare, allora la sua autostima potrà alimentarsi.
Se al contrario percepisce nei genitori una mancanza di affetto, un giudizio negativo su di sé, la delusione dei suoi genitori, allora la sua autostima crollerà inesorabilmente.

Come si fa ad accogliere i figli e dare regole allo stesso tempo?

Innanzitutto scegliete le vostre regole: quali sono davvero importanti per voi. L’educazione non si fa con i NO su tutto, ma con i NO giusti al momento giusto e all’età giusta.

La vita di un bambino non può essere tutta un NO: non ti sporcare, non fare briciole, non correre, non fare disordine… Queste non solo regole, sono stupidaggini.

Le regole possono essere: non si picchia, non si dicono le parolacce, non si mangia la cioccolata prima di cena (perché…)

Quando un bambino si manifesta insofferente alla regola e magari piange, si lagna o si arrabbia, quello che possiamo fare è accogliere i suoi sentimenti.

Abbracciamolo, diciamogli che va bene anche essere arrabbiato e diamogli il modo di calmarsi con il nostro aiuto, pur restando fermi sulla nostra decisione.

Perché il modo per far passare la rabbia a un bambino non è andare contro alla nostra regola, ma semplicemente accettare che il bambino possa essere arrabbiato. E invece noi quanta paura abbiamo delle emozioni negative!

Ma come può un bambino imparare a gestire la sua rabbia, se noi la reprimiamo e non gliene facciamo fare esperienza?



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