La solitudine dei ragazzi delle medie

Pubblicato il 11 Novembre 2019 da

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Vivo in un paese per vecchi, non per ragazzi. Più vado avanti con gli anni e vedo mia figlia crescere, più mi rendo conto che ormai i ragazzi ‘sono di troppo’. Per gli adulti e gli anziani ci sono servizi, corsi, attività, l’Università della terza età, i centri aggregativi. Ci sono le gite di gruppo al mare o ai musei. Ci sono gli spazi per giocare a carte e stare insieme. Per i ragazzi non c’è niente.

In provincia i ragazzi ‘sono di troppo’. Alle medie escono da scuola alle 14 e i loro pomeriggi sono dei lunghissimi buchi di solitudine da riempire. Buchi neri in cui tornano a casa da soli, si riscaldano il pranzo, dovrebbero studiare e poi arrivare fino a sera, quando torna qualcuno.

Vivo in un paese per vecchi; non so se è così dappertutto, ma io credo di sì. Confrontandomi con tante amiche, sento ogni giorno racconti di ragazzi soli e arrabbiati, che cercano un posto nel mondo.

I ragazzi di oggi sono deboli. I ragazzi di oggi sono scansafatiche. I ragazzi di oggi sono maleducati, non hanno rispetto per niente e per nessuno. Ai ragazzi di oggi servono due schiaffi, quelli che i genitori non gli hanno mai dato‘.

Non è forse così che gli adulti – non tutti, non quelli ‘come noi’ – descrivono i ragazzi di oggi?
Come oggetti da percuotere finché stanno zitti, finché stanno al loro posto.

Li hanno allattati fino a tre anni, portati a scuola fino a 11 anni, tenuti nel lettone fino alla quinta elementare.
Poi arriva la prima media è la cura ‘non serve più’. Si devono arrangiare, non possono restare bambini per sempre.

‘I ragazzi di oggi sono immaturi. Mancano di autonomia. Chiedono il permesso per ogni cosa e non si sanno arrangiare.’
Ci dicono i prof delle medie alle riunioni.

Ed è generalmente vero. Del resto nella maggior parte dei casi lo spazio per le autonomie non c’è mai stato: chi non pratica il Metodo Montessori, o chi lo pratica nel mondo contrario (ovvero come metodo libertario che tende all’infantilismo, invece che come metodo per acquisire autonomia), spesso fa davvero l’associazione medie=grande, e si defila.

Ora, chiariamoci. Questa non è la fiera del senso di colpa, ma un discorso sulle responsabilità e sulle opportunità.
Il senso di colpa non serve a nessuno, mentre la presa di coscienza serve a tutti.

L’Italia non è un paese per famiglie. La bestialità di tutta la questione probabilmente è questa.
Le madri lasciano il lavoro (o non lo cercano nemmeno) per guardarsi i figli.

Calano le richieste agli asili nidi:

In Italia all’asilo nido pubblico solo un bambino su 10: più disuguaglianze e povertà educativa.
Il rapporto di Save the children “Il miglior inizio” dimostra le difficoltà a scuola dei piccoli che rimangono in famiglia. Il nostro Paese lontano dagli obiettivi stabiliti dall’Ue. Un handicap anche per le donne e le madri lavoratrici dedicano tempo di qualità ai figli.
I bambini che restano a casa con le madri, infatti, non beneficiano spesso di tempo di qualità con i genitori. Ad incidere sulla crescita educativa dei bambini, infatti, non è la durata del tempo passato con i genitori, ma la qualità di questo: lettura condivisa, la musica e i giochi all’aperto sono spesso attività che mancano in alcune famiglie e che l’asilo nido fornisce.
(Fonte: Repubblica, CRISTINA NADOTTI, 09 settembre 2019)

Poi quando i figli finiscono le elementari, le madri cercano un impiego. Se lo trovano.
Cercano un lavoro perché la vita è sempre più cara e perché, diciamocelo un’altra volta: fare la mamma non è un lavoro.
Dopo un po’ i figli crescono e se noi investiamo tutto sui figli, senza mai investire su noi stesse, restiamo sole. Sole e stanche, senza una professionalità e senza nemmeno il tempo di crearcela.

E allora ricomincia il loop: i ragazzi delle medie si trovano improvvisamente da soli, ma senza essere stati aiutati a raggiungere un’autonomia progressiva, né pratica, né emotiva.

I ragazzi delle medie vengono lasciati soli proprio nel momento della vita in cui hanno maggior bisogno di non essere lasciati soli.

Il momento in cui crescono fisicamente e mentalmente, stravolgendo se stessi e spaventandosi dei cambiamenti così rapidi del loro corpo.
Quando i ragazzi cambiano voce e iniziano ad avere quei ridicoli baffetti, e le ragazze iniziano ad avere il ciclo mestruale.
Quando iniziano ad innamorarsi, a piangere, a disperarsi per le amicizie e gli amori.
Quando capiscono che il mondo è ingiusto, che è tutto da rifare, che gli adulti hanno rovinato tutto dando a loro la mela avvelenata.
Quando infine, cosa non da poco, si trovano con un carico di studio pesantissimo da sostenere, senza le basi organizzative per affrontarlo.

E noi genitori siamo presi con il nostro lavoro, giustamente.
Siamo presi con la nostra vita, anzi: con la metà della nostra vita. I bilanci, il fatto che stiamo diventando vecchi, che vogliamo goderci la vita anche noi.

I ragazzi delle medie spesso quindi restano da soli tutto il pomeriggio. Talvolta è inevitabile.
In città e paesini che non offrono niente: non ci sono più le sale giochi, gli oratori sono aperti solo nel weekend (e poi, onestamente, l’offerta educativa delle passare ancora per via religiosa?).

Qui da noi non c’è un posto dove i ragazzi possano stare.

Le scuole al pomeriggio sono aperte solo per le attività didattiche o i laboratori: non c’è un’aula sorvegliata aperta in cui i ragazzi possano stare a studiare, o semplicemente a chiacchierare. Non c’è un doposcuola, ma onestamente io sono contraria al doposcuola: visto che non sappiamo dove metterli, li costringiamo a stare in aula tutto il giorno?
Non possono certo passare il pomeriggio al bar: non hanno soldi, e poi onestamente passare il pomeriggio al bar – a meno che non sia uno Starbucks in cui puoi portare il tuo PC e studiare -, a cosa serve?
Non c’è una sala giochi di nessun tipo, che comunque costerebbe.

Una volta c’era un centro giovani, con un educatore, ma era talmente abbandonato a se stesso che non è mai stato attrattivo. Adesso pare che quel posto verrà destinato alle associazioni: perfetto, togliamo ai ragazzi un’altra stanza ancora e diamola a noi vecchi.
Così come agli anziani è stato dato mezzo palazzo comunale, perché noi vecchi un posto dove andare ce lo abbiamo sempre.
E invece io dico che dovrebbe essere il contrario: le sale comunali vanno date ai ragazzi, perché abbiano un posto dove stare, e che quel posto sia anche il simbolo delle Istituzioni, del senso civico e dello Stato. Non una sala isolata, messa un po’ fuori dal paese, così da non averli intorno.
Il nostro Comune dovrebbe essere costruito intorno a loro; non dovrebbe essere una muraglia per tenerli lontani.

C’è la biblioteca aperta alcuni pomeriggi, in alcuni orari. Io il Lunedì tengo un corso di alfabetizzazione informatica per l’Uni3 in biblioteca e sono stata costretta a mandare via i ragazzi, perché il loro ingresso ‘non è consentito’ quando la biblioteca è chiusa al pubblico.
E poi la biblioteca non è un posto per chiacchierare, quindi non può determinare un’offerta allettante come uno spazio educativo.

I ragazzi stanno in strada.
Girano, fanno i pazzi in bici, stanno sulle panchine, perdono tempo a fare caciara.

A volte sono così arrabbiati con tutto e con tutti, che iniziano a danneggiare i parchi, a tirare le uova sulle macchine e sulle case, a spaccare tutto.
Arrivano i Carabinieri, li schedano, si rovinano la vita.

Su Facebook i vecchi scrivono:
Dateci i nomi di questi ragazzi, che andiamo noi sotto casa. Questo è il risultato di genitori molli, che vogliono essere amici dei figli. Ai miei tempi i miei genitori mi avrebbero riempito di schiaffi. Noi che siamo stati presi a calci siamo venuti su bene, mica come questi qui’.

Signori, siete venuti su talmente bene che state su Facebook a prendervela con dei ragazzini delle medie.
Siete venuti su talmente bene che i vostri stessi figli sono quei ragazzi che stanno dicendo in tutti i modi: guardateci, siamo qui, ci state ignorando.
Siete venuti su così bene che invece di educare i figli al rispetto, li avete picchiati ed educati con i ricatti, così da renderli deboli e arrabbiati.

Io sto dalla parte dei ragazzi.
Incondizionatamente.

Perché li vedo e sono stupendi. Sono intelligenti, simpatici, sprezzanti, pieni di talenti inespressi.
Sono sarcastici, sono furbi, sono pieni di idee e sono arrabbiati perché nessuno li ascolta, nessuno li considera.
Nessuno gli dà lo spazio per esprimere se stessi, crescere come individui e come cittadini, trascorrere il tempo in modo stimolante.

Vorrei solo avere i soldi necessari per aprire un centro sociale e tenermeli tutti lì, per dire loro che io li vedo.

La solitudine dei ragazzi delle medie: come diventare genitori più presenti e consapevoli

Era tanto che volevo scrivere questo post, ma ogni volta che scrivo una parola mi viene da piangere. Faccio molta fatica a sopportare questa situazione, perché mi riporta al mio vissuto personale, all’inizio di tutti i miei problemi: quella solitudine devastante da cui è partita la mia depressione, la mia bulimia/anoressia/obesità, quella mancanza di stimoli culturali, quel sentirmi sempre ‘un passo indietro’ al liceo rispetto ai miei compagni che venivano dalla città.

Ne ho parlato molto con Francesca Palazzetti aka Mammafrau, nelle ultime settimane (seguitela su Instagram: ne vale la pena).
Ci siamo scritte cose bellissime, e lei in particolare:

Quanto conta anche il punto di vista da cui guardiamo le cose. Sentire il peso della responsabilità della famiglia, quelli che non vogliono figli perché è una responsabilità troppo grande.
Ma invece avere l’onore della responsabilità? Una società che dice che avere responsabilità è una fregatura, come ci aiuta a insegnare ai figli che le responsabilità sono conquiste, a volte riconoscimenti, e in ogni caso grandi occasioni?
Catturare l’interesse di giovani su cose giovani, non lontane da loro. Spostare un certo tipo di narrazione verso il seguire i propri sogni e raccontare cose concrete senza stereotipi.

Io mi sono fatta forza e da giorni penso e ripenso a cosa voglio dire in questo post, e soprattutto a come dirlo, per non offendere nessuno, soprattutto dove vivo. Penso che sono arrabbiata e che quando mi arrabbio io non mollo, finché non ottengo quello che voglio. Che spesso non è per me, anzi quasi mai, ma è per gli altri: perché le cose siano eque per tutti, che io poi tanto me la sono sempre cavata (e infatti non a caso sto andando dalla psicologa, proprio perché faccio sempre questo passaggio mentale che io devo salvare il mondo – per poter salvare me stessa).

Allora vi faccio un elenco sparso di cose che io penso siano urgenti da fare, tutti quanti, come genitori.
E spero che tutti ne possiamo fare tesoro per imparare ad essere genitori più consapevoli, ma anche per andare a bussare nei nostri rispettivi Comuni per chiedere che le cose cambino, perché è arrivato il momento di rendere l’Italia un paese per ragazzi.

Mamme, continuate a lavorare

Lo dico da sempre, ma adesso più che mai: se le donne tornano al lavoro, sarà lo Stato a dover garantire il Welfare alle famiglie.

Io capisco benissimo che non tutti vogliamo scegliere lo stesso tipo di vita, ci mancherebbe.
Ma quando sento le ragazze giovani che mi dicono che il loro obiettivo è sposarsi e avere figli, fare le madri, stare a casa, mi viene da piangere.

Io non sono nata per lavorare‘, mi ha detto un giorno una ragazza di poco più di 20 anni.
E io rispetto il suo discorso, ma allo stesso tempo penso che questa ragazza non sia stata EDUCATA per lavorare, per sentirsi degna di un lavoro, per sentirsi forte e capace.

Per lei il lavoro era una fatica a cui non sottoporsi. Per me il lavoro è indipendenza, forza, soddisfazione, crescita, potere e persino divertimento. Il lavoro per me è libertà: di diventare chi sono, di esprimere me stessa ad alta voce, di farmi sentire e di trovare un posto nel mondo.

Io credo che possiamo aspirare ad essere qualcosa in più che mogli e madri che portano i piatti caldi in tavola, no?
E con le unghie, fatte, mi raccomando!

E se la vostra preoccupazione è che, lavorando, non possiate più accudire o godervi i figli, guardatevi intorno: ispiratevi dalle donne che lavorano e scegliete bene. Studiate per ottenere posti di lavoro migliori, con stipendi migliori e con orari migliori. Le rivendicazioni sindacali si fanno in ufficio, non su Facebook.

Combattiamo gli stereotipi di genere e piantiamola di dire che non esistono!

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Ogni volta che sento dire che non è vero, che in Italia non ci sono gli stereotipi, mi viene da girare con un volantino del supermercato arrotolato tra le mani, per darvelo sulla capoccia. 😉

Tra poco sarà Natale: andate a vedere i giocattoli per maschi e femmine (perché questa divisione ancora esiste). Oppure andate in un negozio di scarpe a vedere come le scarpine delle bambine siano tutte lustrini e tacchettini, mentre i maschi hanno scarpe da ginnastica e sandali per correre.
O andate in una catena di vestiti, dove i maschi hanno le stampe dei supereroi e le femmine le pailettes, oppure delle bellissime scritte come ‘cute, love me, dream, fancy, romantic, magic, lovely, dance e cherie‘ (tutto vero).

Scegliete bene i prodotti per i vostri figli: educateli alla parità da subito, se volete che da grandi siano più felici e più soddisfatti di sé.

E attenzione: nessuno vuole negare le differenze di genere, né i gusti personali. Se una bambina ama il rosa e le scarpette da danza, non deve sentirsi costretta ad amare i trattori e lo skate. Interrogatevi, però, se è una sua scelta, oppure se l’avete cresciuta così.

Benissimo i nonni, ma scegliete l’ultimo anno di nido

Io sono stata la prima a tenere con me mia figlia fino ai due anni: grazie al cielo potevo farlo insieme a mio marito, e quindi è stata una scelta fattibile (che non è fattibile per tutti, proprio per i ritmi di lavoro). Non tutti hanno i nonni a disposizione o un lavoro part time, ma anche questo deve essere materia di ribellione: il Welfare ce lo dobbiamo prendere, non possiamo aspettare sul divano che le cose cambino da sole.

Chi può sceglie i nonni e io sono d’accordissimo (come se il mio parere contasse qualcosa), ma ritengo anche fondamentale che intorno ai 2-3 anni i bambini possano frequentare l’ultimo anno di nido.

Dall’analisi [di Save The Children: Nuotare Contro Corrente Povertà educativa e resilienza in Italia, ndr] emerge chiaramente che i minori di 15 anni che appartengono al quartile socio-economico e culturale più basso (il 25% della famiglie più disagiate), ma che hanno frequentato un nido o un servizio per l’infanzia, hanno il 39% di probabilità in più di essere resilienti, ovvero di raggiungere un livello di competenze tale da favorire l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, misurate attraverso i test PISA in matematica e lettura, rispetto ai loro coetanei che non lo hanno frequentato.
I dati confermano le ricerche svolte da economisti, neuro-scienziati, sociologi, che affermano che la povertà educativa è imputabile in larga misura alla privazione di opportunità di apprendimento nei primi anni d’età. La frequenza del nido o dei servizi della prima infanzia, di qualità, che utilizzano, quindi, un approccio pedagogico olistico che guarda al benessere del bambino, rappresenta un fattore protettivo essenziale per la resilienza.

L’offerta educativa di un asilo nido non è minimamente paragonabile a quella che possiamo offrire in casa, noi o i nonni, nemmeno se siamo educatori in pensione.

Povertà educativa in casa: partiamo da qui

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Parlo di povertà educativa proprio come ne parla Save The Children nel suo report:

Secondo l’indagine PISA sono più di 100.000 su un totale di quasi mezzo milione, gli alunni di 15 anni in povertà educativa “cognitiva”, ovvero che non raggiungono i livelli minimi di competenze in matematica (il 23%) ed in lettura (21%). Questi minori non sono in grado di utilizzare formule matematiche e dati per descrivere e comprendere la realtà che li circonda, o non riescono ad interpretare correttamente il significato di un testo appena letto.
Nella maggior parte dei casi, gli alunni che non raggiungono queste soglie provengono da contesti svantaggiati dal punto di vista socio-economico e culturale. I minori che vivono in famiglie con un più basso livello socio-economico e culturale (appartenendo al primo quartile o 25% delle famiglie più disagiate) hanno più del triplo di probabilità di non raggiungere le competenze minime, rispetto ai coetanei che provengono da famiglie più benestanti (il 25% delle famiglie più agiate)13 (Fig. 1).

In quante case non si legge nemmeno un libro? In quante famiglie il tablet e lo smartphone sono diventati strumenti ‘educativi’ o di ‘intrattenimento’?
In quante famiglie l’aspirazione massima è avere figlie Influencer e figli calciatori?

Ora, lo ripeto, per chiarire la mia posizione: non c’è niente di male a voler diventare calciatori. Non sto dando giudizi di merito.
Sto parlando delle ambizioni vere delle persone, non quelle finte legate solo ai soldi, al successo e alla televisione.

Sto parlando di modelli culturali di riferimento, dove la pubblicità ci dice che le bambine da grandi diventeranno ballerine e i bambini diventeranno scienziati.

Lo capiamo che questo è gravissimo? Come potranno i nostri figli scegliere liberamente cosa studiare e cosa diventare, se la società schematizza il successo in questo modo, rosa e azzurro?

Dove sono i papà?

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Io non credo sia normale che il peso economico di una famiglia stia tutto sulle spalle dei padri. Se le madri non lavorano e a loro è relegata la cura dei figli, il peso obbligatorio dei padri è sostenere la famiglia economicamente.

Con la conseguenza che spesso i padri sono assenti, perché lavorano troppe ore per portare a casa troppi pochi soldi (ditemi se non è vero, che tanto i soldi non bastano mai). E così da un lato la donna fa i salti mortali nel risparmiare, da un lato l’uomo fa i salti mortali per guadagnare, e in mezzo ci sono i figli, che spesso mancano di tutto: dei soldi per fare sport, dei soldi per i libri nuovi, per il dentista… ma anche della cura dei genitori, impegnati a sopravvivere.

Se uomini e donne lavorassero alla pari, avremmo tutti più soldi, più tempo per noi stessi e per i figli, più opportunità e più servizi dallo Stato.
In un mondo ideale, LO SO.

E non sarebbe così strano vedere i papà interessarsi ai figli, sapere che classe frequentano e chi sono i loro compagni di classe, conoscere il nome dei professori e il loro numero di scarpe. Non ne hanno forse il diritto?

Per essere genitori consapevoli bisogna studiare

Più mia figlia cresce di età, più mi rendo conto che studiare pedagogia mi è servito e mi serve ancora. Non mi capacito del perché le famiglie non abbiano la possibilità di frequentare corsi sulla genitorialità gratuiti, organizzati dalle ASL e dalle scuole (in orari fattibili, non sempre per le mamme che non lavorano).

Non mi capacito del fatto che per essere genitori non sia prevista una formazione. Che, attenzione, non significa dover superare un esame, ma almeno un percorso sulla genitorialità consapevole? Si fa il corso preparto. Non si potrebbe fare un corso per genitori?

Non si potrebbe periodicamente avere diritto di usufruire gratuitamente, con i soldi delle nostre tasse, di percorsi che parlino di psicologia e pedagogia dell’età evolutiva? Non dico dallo Stato, ma almeno dal proprio Comune?

E senza aspettare che tutto arrivi dall’alto, vi prego: leggete libri di pedagogia. Leggetevi tutto Alberto Pellai, per esempio:

Non dico di studiare il Metodo Montessori da soli, ma almeno leggetevi Pellai, che è italiano e conosce benissimo la situazione dei nostri ragazzi, e scrive libri chiari, semplici da capire, ricchissimi di spunti per migliorarci come genitori.

Non abbiate paura di pedagogisti e psicologi

In Italia c’è ancora troppa resistenza nel chiedere aiuto ad esperti, per l’educazione dei figli. Ci sentiamo tutti bravi e non vogliamo essere etichettati come cattivi genitori o, anca peggio, come pazzi.

Beh, questo è un errore vero. Se chiediamo aiuto a un pedagogista o a uno psicologo, l’aiuto lo riceviamo per noi e quindi indirettamente per i nostri figli. Per migliorare noi stessi e agire meglio come genitori e come individui.

Per rispondere ai figli non attraverso il nostro vissuto, ma attraverso il loro.

Appoggiate la scuola, siate partecipi

L’alleanza scuola-famiglia è fondamentale. Le scuole non sono perfette, è vero, ma non lo siamo nemmeno noi genitori.
Creare un vero patto di corresponsabilità scuola e famiglia è l’unico modo per sfruttare un servizio capillare, che già funziona, e che può davvero fare la differenza nella vita dei nostri figli.

Impegniamoci nella scuola: seguiamo i figli nei compiti, controlliamo e firmiamo il diario, partecipiamo alle riunioni. Quando possibile, candidiamoci per diventare rappresentanti di classe o membri del Consiglio di Istituto e diamoci da fare in prima persona.

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Non lasciate soli i figli quando diventano grandi

La tentazione di riprendere in mano il nostro tempo, alle medie, è forte, e un po’ ce lo meriteremmo anche.
Siamo stanchi, io sono stanca. Ho tante cose da fare e poco tempo per farle.

Tuttavia è proprio adesso che dobbiamo tenere duro ed essere ancora più presenti di prima.

Sarà un tipo di presenza diversa, dietro le quinte. Un passo indietro ai figli, pronti a raccoglierne i pezzi quando si rompono, vigili sulle amicizie e sugli smartphone, presenti quando si tratta di accogliere la loro sofferenza, attentissimi nei confronti del rendimento scolastico.

La fatica, adesso, è mentale.

Aprite le porte di casa

Chi può, chi ha tempo, chi è a casa il pomeriggio: aprite le porte di casa e accogliete gli amici dei vostri figli.
Non possiamo permettere che i ragazzi stiano in strada tutto il pomeriggio. Prendiamoci cura di loro mentalmente e fisicamente: con un pranzo tutti insieme, un po’ di compiti, una casa sicura dove trascorrere del tempo di qualità.

Che può anche essere tempo per i videogiochi o per le chiacchiere sul divano, ma almeno in un ambiente protetto e con un adulto sempre nei paraggi.

È faticosissimo. Il nostro sogno di stare in pigiama per casa si infrangerà con l’adolescenza dei nostri figli, in cui bisogna sempre essere vigili, avere sempre due pizze surgelate in freezer, e la prontezza di spirito di aprire quando suonano al citofono, chiudersi nella propria stanza ed essere ‘invisibili’, ma presenti.

Battetevi per i figli, perché nel vostro Comune gli vengano dati gli spazi necessari

Come dicevo, nelle ultime settimane ho fatto tante riflessioni sugli spazi comunali e scolastici.
Siccome invierò questo post alla vice Sindaca che particolarmente sensibile all’argomento, e a un Assessore che so essere particolarmente illuminato e competente sul tema, ecco la mia promessa: ci vediamo in Comune per cambiare le cose.

Trovatevi una decina di genitori che, come voi, abbia a cuore il quartiere in cui vivete, e iniziate a fare riunioni, a parlarne, a contattare la scuola e il Comune/Circoscrizione, coinvolgete le associazioni e cercate di cambiare le cose.

Io credo che sia davvero arrivato il momento in cui iniziamo a batterci per i nostri figli, per dargli un mondo migliore di quello che gli abbiamo lasciato in eredità fino ad ora. Siete d’accordo?



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