La fatica mentale di essere mamma

Pubblicato il 30 Settembre 2013 da • Ultima revisione: 7 Agosto 2014

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Tanto tempo fa avevo scritto un post molto ironico, sulle cose che detesto fare in qualità di mamma: per esempio il perenne odore di brodo di verdure durante lo svezzamento, sterilizzare i biberon… e altre cose che di solito ci tocca fare quando si hanno bambini molto piccoli che necessitano di cure ‘vitali’.

Cose che, insomma, poi migliorano, quando i bambini diventano più grandi e sono in grado di gestire le proprie autonomie: lavarsi e vestirsi da soli, mangiare, o persino prepararsi un toast.

C’è un bel cambiamento, da 0 a 5 anni. E quando vedo le amiche che hanno figli di pochi giorni, penso che davvero quello è il periodo più faticoso della maternità, quello in cui non puoi mai non-esserci.

Ma anche adesso, mi sembra tutto molto complicato. Passare dalla cura fisica del bambino, alla sua cura emotiva.

Non che i neonati non richiedano coccole, presenza e affetto, anzi: come diceva Winnicott, un neonato che non viene amato può persino lasciarsi morire. Ma diciamolo: fare le coccole ad un neonato è la parte bella di quei primi mesi. Li puoi annusare, strapazzare, portare in fascia, fare le facce buffe per farli ridere, e sei in loro eroe. Ti guardano come se al mondo non esistesse nessun altro, ti vogliono come se tu fossi la persona più importante al mondo.

Ma poi da grandi non vogliono più cose ‘materiali’, ma impegni emotivi: fanno i capricci, tentano di costruire una propria identità, possono anche arrivare a sfinirti. E questo sta accadendo a noi adesso. Arrivare a sera e sentirci sfiniti mentalmente: dopo una giornata passata a contenere i capricci di Dafne, o i suoi scatti di maleducazione, o i suoi tentativi di presa di potere in casa. E’ tutto molto difficile.
Ogni giorno ci alziamo e non sappiamo come sarà la nostra giornata: la maggior parte delle volte Dafne sa essere adorabile; alcuni giorni invece riesce a portarci al massimo livello di frustrazione ed esasperazione.

E io sento di vivere in un momento di grande fatica mentale, che mi pesa più di quella fatica fisica dei suoi primi mesi di vita. Adesso non è più una questione di sonno, ma di equilibrio: devo mantenere un equilibrio stabile, incanalare la rabbia in qualcosa di costruttivo, imparare a gestire la mia frustrazione, controllare i miei gesti e le mie parole. E non sempre ci riesco. Certi giorni vorrei solo piangere e sparire. Potermi allontanare da lei e non vederla per qualche tempo, per riuscire di nuovo a percepire tutta la mia vita di madre con distacco, e ritrovare il mio punto di equilibrio.

Mai come adesso mi sento un’equilibrista. In equilibrio sulla mia mente.

Perché ho scoperto una cosa, che forse vi farà piacere sapere: dipende tutto da noi genitori. Ogni giorno, quando ci alziamo, sappiamo che potremo trovare un pretesto (o un valido motivo) per arrabbiarci con lei: la colazione, il momento in cui ci si devono lavare i denti, la scelta dei vestiti, le storie davanti all’ingresso della scuola… qualunque momento, può essere il punto di rottura.
Se noi ci arrabbiamo, la rottura si manifesta subito: muro contro muro, ognuno si separa e mantiene fiero la sua posizione.
Se noi comprendiamo e cerchiamo di trovare un modo di conciliazione, allora la giornata inizia benissimo e nessuno soffre.

Ed è questa la difficoltà.
Prima era tutto più facile, e io pensavo che sarebbe stato facile anche adesso: ti do una regola, tu la rispetti e siamo tutti in pace.
Invece no.

Questo è il momento dell’equilibrio, una fase faticosissima della vita di genitori che noi non sapevamo esistesse.E voi?

 



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