Urlare contro i figli non serve a niente

Pubblicato il 19 Giugno 2017 da • Ultima revisione: 19 Giugno 2017

Ci sono stati giorni, soprattutto quando Dafne era in prima elementare, che al mattino alle otto già urlavo. Mi stremava la sua lentezza. Mi stremava il fatto di doverle dire sempre tutto: lavati, vestiti, fai colazione, prepara la cartella, fai questo, fai quello. Tant’è che spesso lei stessa mi diceva di sentirsi come un robot, che doveva solo eseguire dei comandi.
L’esigenza di arrivare in orario a scuola era impellente e mi sembrava di non essere in grado di calmarmi, di fronte alla sua eccessiva calma.

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Ma aiutare i figli a raggiungere l’autonomia non è comandarli come dei robot, ma piuttosto fornire loro gli strumenti per farcela da soli – con il nostro appoggio. 

Poi verso i 6 anni i bambini spesso attraversano un momento in cui sono lagnosi, permalosi, non ascoltano, non hanno voglia di lavarsi o di andare a letto, sono oppositivi. E a fine scuola sono anche stanchissimi, quindi scattano per un nonnulla.

Il rischio quindi è iniziare ad erigere un muro che con gli anni diventerà sempre più alto. E invece noi abbiamo bisogno di abbatterlo adesso, quel muro, prima che diventi impossibile parlare con i nostri figli e soprattutto avere un rapporto sano con i figli adolescenti.

Cosa possiamo fare noi? Cambiare il nostro atteggiamento

Dobbiamo davvero fare lo sforzo di non urlare, anche se sono i figli per primi ad urlare.

Rispondiamogli a bassissima voce, in modo molto calmo, e se non vogliono ascoltare e dialogare, andiamo in un’altra stanza dicendogli: Non possiamo comunicare finché tu urli, e io non voglio più urlare, quindi adesso vado nell’altra stanza e potremo parlare quando ti sarai calmato.
Diamogli insomma il modo di sfogare la propria frustrazione e la propria rabbia, ma non su di noi: questo limite non deve mai essere superato, perché noi siamo i genitori, non siamo gli amici, né i loro pungiball.

Se un figlio supera i limiti, per esempio urlando più del dovuto, insultandoci o cercando di picchiarci, lo dobbiamo bloccare immediatamente (senza fargli male, ma in modo deciso) e con sguardo deciso ribadire che non ci si picchia. Che non è accettabile. E chiaramente questa regola vale anche per noi: i figli non si picchiano. 

Noi siamo gli adulti, loro sono i bambini

Manteniamo la calma e quando stiamo per urlare ricordiamoci che noi siamo gli adulti e loro sono i bambini. Quindi siamo noi a dover trovare la forza e la calma prima di loro, e soprattutto siamo noi a dover imparare a non ingaggiare una lotta di potere in cui perderemmo entrambi, innalzando muri di non-comunicazione.

Io trovo che il dialogo dei sentimenti sia il modo migliore per comunicare con i figli grandi: parlare dei nostri sentimenti, come ci sentiamo, anche piangere con loro una volta, quando siamo entrambi calmi, per manifestare le nostre emozioni vere.

Raccontiamogli cosa c’è nel nostro cuore, come ci sentiamo, se non stiamo bene in questo rapporto così delicato, se c’è qualche situazione del nostro rapporto che ci fa star male (non è il figlio a farci male, ma la situazione) e che vogliamo cambiare ed essere felici. Parliamo ai figli dei nostri sentimenti e chiediamo loro di fare altrettanto, un passo alla volta.

Il cambiamento può partire solo da noi. La calma, la forza, la comunicazione: possono partire solo da noi, perché i figli sono piccoli, non possono farlo da soli.

Basta con le regole assurde: diamo le regole giuste

Diminuiamo le regole.
Le cose che ci irritano, sono davvero gravi? O sono cose che magari irritano noi, ma non sono davvero importanti? 

Vero che mettere in ordine la cameretta possa essere importante, ma non possiamo chiudere la porta e lasciare che se ne occupino loro, con i loro tempi e i loro modi?

Impariamo a ridere insieme

Per esempio l’altra sera Dafne aveva i capelli tutti annodati e sembrava Mowgli e ovviamente non voleva pettinarli.

L’ho convinta prima dicendole che sarebbe stato un momento di chiacchiere mamma e figlia, poi siccome si lamentava, le ho detto scherzosamente: dai, vai a prendere l’accetta che ti pettino – e le ho fatto lo sguardo da zombie. Allora si è messa a ridere, ma era ancora poco convinta, allora le ho detto di prendere il rastrello.

Insomma, con alcune battute davvero sciocche ho cercato di stemperare il momento lagnoso e oppositivo.
Lei sorride, mi dice che sono pazza, mi fa una battuta, ridiamo, intanto si fa pettinare.

Potevo urlare, costringerla, passare due ore a fare muro contro muro.
Oppure sforzarmi di restare calma, prenderla bonariamente in giro dicendole che ha i capelli come un barboncino, farla ridere e concludere tutto in 3 minuti.

Come dicevo: sta a noi trovare la strada giusta per fare breccia nel loro cuore, non viceversa. E’ questa la fatica.



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