Noi siamo gli adulti, loro sono i bambini

Pubblicato il 26 Aprile 2017 da

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Nel Metodo Montessori si parla spesso di verbalizzazione. Ma di cosa si tratta esattamente? 
C’è un grande malinteso, a mio parere, sulla cosiddetta verbalizzazione: molti genitori confondono la verbalizzazione con… le prediche! 

Verbalizzare non è dare mille spiegazioni.

In molte occasioni i giovani genitori mi chiedono consiglio perché la loro ‘verbalizzazione’ non funziona:

  • Gli ho spiegato mille volte che non avremmo comprato nulla in quel negozi, che doveva stare buono, che non doveva fare i capricci;
  • Gli ripeto mille volte di non alzarmi le mani se è arrabbiato, gli ho spiegato che è una cosa brutta, che non si fa, che io non voglio. 

La verbalizzazione non è questa.
Verbalizzare significa spiegare ad alta voce i sentimenti del bambino, quando è troppo piccolo per codificarli. Significa entrare in empatia con il bambino e pronunziare ad alta voce i sentimenti che percepiamo in lui, per aiutarlo a riconoscerli – e in seguito ad affrontarli. 
Eccola lì, la resilienza.

I bambini fanno i capricci?

Mi piace pensare che i ‘capricci’ non esistano, ma esistano solo richieste di comunicazione: un bambino irritato, frustrato, arrabbiato e stanco, è un bambino che ci comunica che sta provando una sensazione sgradevole che non riesce ad affrontare, o a risolvere da solo.

Questo significa che ai bambini bisogna sempre darla vinta?

No, al contrario. Io non sono una sostenitrice della pedagogia della contrattazione, ad esempio – non fino all’adolescenza.
Non sono d’accordo nel dire sempre sì ai bambini, né al cambiare idea davanti a loro. 

Due le cose che possiamo fare di fronte a’ cosiddetti capricci:

  1. Abbiamo detto di NO per un motivo importante, o solo per vincere?
  2. Se il No che abbiamo detto è importante, resterà un NO, senza altre spiegazioni dopo la prima.

A volte diciamo di NO solo per vincere, perché vogliamo dimostrare di essere noi a comandare, di essere noi a decidere tutto. 

Diciamo NO che non hanno un reale significato:

  • Bambino che vuole mettere i pantaloncini a Dicembre: no perché fa freddo – il bambino è perfettamente in grado di capire da solo se ha freddo, e di coprirsi!;
  • Bambino che vuole che nel suo piatto ci siano i piselli e le carote separati, non mescolati – il bambino attraversa la fase sensitiva dell’ordine, non sta facendo un capriccio;
  • Bambino che si butta in terra al supermercato – siamo proprio sicuri che il supermercato, con tutti quegli stimoli e quel rumore, faccia al caso suo? Potrebbe essere solo stanco o iper stimolato?

Quando diciamo NO per un motivo sensato, per motivi di sicurezza o di salute o etici, è bene che il nostro NO resti saldo – e non c’è bisogno di spiegarlo due volte. 

Ai bambini bisogna saper dire NO, dando una sola spiegazione sensata, e fargli sperimentare la frustrazione e la rabbia e i sentimenti negativi che esistono e fanno parte di tutti noi.

Non dovremmo aver paura della rabbia dei bambini: è normale, e quello che dobbiamo fare non è reprimerla accontentandoli in tutto, ma accoglierla, verbalizzarla e comprendere che nostro figlio ha il diritto di essere arrabbiato, aiutarlo che la rabbia può essere superata, restare fermi nelle nostre regole. 

Dopo che abbiamo spiegato le ragioni del nostro NO, quali altre giustificazioni dobbiamo dare?
Ripetere mille volte la stessa spiegazione come un disco rotto, non ha significato: se ti dico NO a salire in  auto senza le cinture, non devo darti altre spiegazioni, dopo che ti ho raccontato che questo è necessario perché è sicuro ed è obbligatorio.

È molto importante proteggere i figli in questo senso: lasciare che vivano il loro sentimento negativo senza essere umiliati dalle botte o dalla disapprovazione altrui – se si buttano in terra al supermercato, invece di restare lì a farsi giudicare da tutti, portiamo via il bambino e diamogli la dignità di accogliere la sua rabbia senza sentirsi anche giudicato. 

Mia figlia si buttava in terra nei supermercati. Lasciavo il carrello, la tiravo su e la portavo in auto a sfogarsi. Poi a casa.
Semplicemente alcuni bambini più (emotivi? sensibili? nervosi? orgogliosi?) hanno bisogno di situazioni più delicate.
Noi abbiamo smesso di portare Dafne nei supermercati per almeno tre anni, finché non ha imparato a gestire le sue emozioni in situazioni più controllate.
Eravamo sempre gli unici ad avere una figlia così, eppure non abbiamo ceduto né alle botte, né alla prevaricazione, né a dargliele tutte vinte. Abbiamo mantenuto saldissime le nostre regole, abbiamo contenuto le crisi e abbiamo provato a non sentirci dei genitori inadeguati.
Verso i 5 anni siamo stati in grado di andare fuori a cena qualche ora con lei, e poi è andata sempre meglio.
E’ stata durissima, io conosco bene quell’umiliazione che si prova, ma è proprio in quei momenti che bisogna prendere il controllo, respirare e ricordarsi che noi siamo gli adulti, loro sono i bambini.

Se iniziamo a giudicare i sentimenti negativi dei bambini, non facciamo che dire loro che è sbagliato provarli. E invece non è così: i sentimenti negativi ci aiutano a restare sicuri, ad aver paura dei pericoli, a salvarci dalle persone negative, a prendere precauzioni. Ma soprattutto a prendere decisioni.
Il passo da fare è accogliere il sentimento negativo e trasformarlo in un cambiamento positivo. 

Secondo me l’unica mala interpretazione del metodo Montessori è credere che tutto sia materia di contrattazione.
Anzi, direi che nella Montessori nulla è materia di contrattazione. Lei decideva, i bambini si muovevano liberi nei confini da lei stabiliti.

Ai bambini servono confini entro cui muoversi liberamente: io definirei proprio così il Metodo Montessori.
Le regole sono necessarie e anche la frustrazione.
La frustrazione è semplicemente un errore che ti spinge a voler far meglio, a ritentare, a riprovare – a riuscire. Non a caso i materiali Montessori sono tutti studiati per contenere in sé l’errore, in modo che il bambino lo sperimenti da solo.

La nostra decisione dovrebbe essere questa, ogni giorno: noi vogliamo prenderci la responsabilità di fare i genitori?

Noi siamo i genitori, loro i bambini. Entrambi i ruoli sono necessari, nella nostra vita.



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